mercoledì 24 aprile 2013

Coraggio, generosità e unità

Abbiamo dalla nostra il tempo, l’entusiasmo e la libertà. Per questo, alla fine, vinceremo noi.
Le convulse vicende di ieri hanno reso chiaro un fatto che andiamo spiegando da molti mesi: Matteo Renzi è l’unico leader del centro-sinistra capace di far paura a Silvio Berlusconi. Perché Matteo Renzi è l’unico che può batterlo. Non smacchiarlo, né mandarlo in prigione: semplicemente, mandarlo in pensione. Perciò Berlusconi ha paura e non si fida. Non si fida, soprattutto, di chi all’interno del Pd ha accarezzato l’idea di “bruciare” Renzi mandandolo oggi a Palazzo Chigi.
L’altra cosa che si è capita chiaramente – una volta depositata la cortina fumogena della propaganda – è che i referenti di Berlusconi all’interno del Pd non hanno nulla a che fare con Renzi. Di più, sono gli avversari di Renzi: quelli che hanno proposto Franco Marini per il Quirinale e che hanno affossato Romano Prodi nel segreto dell’urna.
Esiste un’alleanza di fatto, una convergenza parallela di interessi inconfessabili che può trasformare le “larghe intese” – scelta nobile, seria ed europea – nell’ “inciucio”. Qualcosa di molto meno nobile, serio ed europeo. Questa alleanza si basa sulla semplice considerazione che, una volta messa da parte la vecchia guardia del Pd (quella che ha perso, poi ha riperso, poi ha perso ancora, infine ha perso), non ci sarà più spazio nemmeno per Silvio Berlusconi. E viceversa. Si tenevano in piedi combattendosi, si tengono in piedi collaborando. Anche se non si fidano gli uni degli altri.
Ora, quello che si è provato a fare ieri, la presa di potere improvvisa da parte dei trenta-quarantenni, un putsch simile a un “Midas democratico”, era probabilmente un azzardo. Mandare oggi Matteo Renzi a Palazzo Chigi avrebbe comportato rischi pesanti. A partire dal pericolo di bruciare l’unica figura forte su cui il Pd potrà contare nei prossimi anni. Ma il metodo è quello giusto: una nuova generazione di dirigenti che si impone – senza timori e a viso aperto – come alternativa a quelli che hanno perso, riperso, perso ancora e infine perso.
Dicono non sia una questione anagrafica, che contano le idee. Io dico che sono storie e che, se non cambiamo prima le donne e gli uomini, non cambierà nulla. Soprattutto, non riconquisteremo il consenso degli Italiani.
Costruire un’alleanza generazionale vuol dire mettere la questione del ricambio prima e sopra tutto il resto. Perché si possono avere idee differenti e si può discutere, come peraltro fanno da trent’anni gli attuali dirigenti del Pd, partecipando ad un comune sforzo per dare al Paese un Partito Democratico forte e credibile. Se il repentino cambio di rotta pro-Renzi dei “giovani turchi” solleva qualche comprensibile sorriso, ci sono altri – più credibili, ma forse meno disponibili – che dovrebbero riflettere sull’importanza del passaggio al quale siamo arrivati.
Scrivevo a Giugno dello scorso anno che “siano di Firenze, di Monza o di Udine - quelli che ritengono necessaria questa alternativa devono lavorare insieme per costruirla. Insieme. Per vincere le primarie, vincere le elezioni e governare l'Italia. Servono coraggio, generosità e unità. E non esistono soluzioni intermedie”. Non andò così. Prevalsero posizioni diverse e qualche personalismo.
In un anno tutti sono cresciuti. A Firenze, a Monza, a Udine. Ognuno ha – oggi – un ruolo politico di primo piano nazionale. E una conseguente responsabilità. Sarà ben arrivato il momento di prendere in mano, insieme, il proprio destino. Che è poi il destino del Pd e dell’Italia: con coraggio, generosità e unità. Il tempo verrà, molto presto.

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