giovedì 12 giugno 2014

Quando Berlinguer non ci sarà più

Ieri ho guardato il film di Veltroni su Enrico Berlinguer. Non sono preparato per giudicarne la qualità cinematografica e non lo farò. So anche che “non si scherza coi santi”, quindi mi sono interrogato un bel po’ sull’opportunità di scrivere qualcosa in proposito. Però poi penso che bisogna dire la verità. Quindi scrivo.

Premessa, a proposito di santi con cui non si scherza: io avevo nove anni e ricordo benissimo quale travolgente onda di vera commozione e partecipazione popolare suscitò la morte di Enrico Berlinguer. Ricordo la gente che piangeva, quel giorno, davanti a una scuola elementare di un quartiere operaio, in una piccola città del nord. Ricordo in casa la televisione, costantemente accesa, in attesa del “bollettino medico”. Ricordo la diretta dei funerali da piazza San Giovanni. Ricordo di aver chiesto a mia madre, qualche settimana dopo, di comprarmi un libro su Berlinguer in vendita su un banchetto a una festa della FGCI. Ricordo, da quel libro, un brano di Roberto Benigni che si immagina luminare della medicina e sogna di salvare Enrico all’ultimo momento. Ricordo tutte queste cose e so che il PCI era, oltre che un partito, una meravigliosa comunità di donne e di uomini. Le ricordo perché ero parte di quella comunità. E come parte di quella comunità, ricordo che Enrico Berlinguer era quell’uomo onesto, integerrimo, gentile e serio che abbiamo conosciuto e che ci è stato raccontato.

È proprio così, ma aggiungo qualcosa. Perché a trent’anni dalla morte di Berlinguer, ancora nessuno ha avuto la forza e l’onestà intellettuale per raccontarne la vicenda storica, analizzando – anche – gli errori politici e i ritardi che segnarono quella stagione e la sua segreteria, specie nei suoi ultimi anni. Il film di Veltroni non fa eccezione.

Gli errori commessi in quegli anni dal PCI, seguiti da immancabili sconfitte (dalla marcia dei 40.000 al referendum sulla contingenza) vengono elencati e “spiegati” come effetto di una necessaria strategia di unità interna e di conservazione della “diversità” comunista: una linea di retroguardia perseguita con determinata ostinazione e destinata a produrre effetti tragici per molti anni a venire. Perché il PCI sarà pure morto – come conclude il film – nel giorno dei funerali di Berlinguer. Ma esso è sopravvissuto alla propria morte, arrivando tale e quale e “comunista” all’appuntamento che la Storia stava preparando. Perché unità e diversità sono rimaste per molti lustri, mentre si disfaceva l’apparato ideologico, le uniche ragioni d’essere di un partito che restava una meravigliosa comunità, ma era sempre meno in grado di incidere nella realtà italiana, almeno al livello nazionale. Perché questi miti fondativi – morto Berlinguer – sono diventati elementi di una retorica, tanto spesso contraddetta dai fatti, quanto potente nel tenere unite le truppe ed allontanare gli elettori.

La generazione di dirigenti politici che è succeduta a Berlinguer ha avuto responsabilità enormi, nell’uso strumentale della memoria e dell’apparato organizzativo del PCI-Pds-Ds allo scopo di mantenere la propria posizione e non mettersi – mai – in discussione. Sarebbe un atto di onestà intellettuale – almeno oggi che qualcuno, a sinistra, ha fatto meglio nelle urne del mitico PCI nella seconda metà degli anni ’70 – riconoscere certi errori, riflessi condizionati, ipocrisie.

Sarebbe anche meglio riconoscere che tutti quegli errori e quelle contraddizioni affondano le radici in una scelta di chiusura, di rifiuto della modernità, di sostanziale autosufficienza nella diversità che fu voluta e decisa dal gruppo dirigente del PCI nella prima metà degli anni ’80. E che fu un tragico errore.

Anche perché, persino oggi che il mondo è cambiato tre o quattro volte e c’è il Partito Democratico, i riflessi condizionati dettati da questa visione del mondo e della politica non cessano di produrre effetti.

Se cambiare la Costituzione è un “attacco alla democrazia”, se discutere di giustizia è “attaccare la Magistratura”, se chi prende il 41% dei voti è un mezzo traditore perché si rivolge a quelli che votavano dall’altra parte… Se tutte queste cose e tante altre si dicono e si pensano – e sappiamo che si dicono e si pensano, nelle chiacchiere e nel sentire comune di una parte di ciò che resta della nostra “meravigliosa comunità” – con il dovuto rispetto per la storia di noi tutti e per la nostra memoria collettiva, qualche parola di verità su quanto sbagliate siano state talune impostazioni, negli ultimi 35 anni, sarebbe venuto il momento di scriverla.

O almeno, sarebbe il momento di abbandonare l’utilizzo di certa retorica ai fini di qualche altra – ennesima – battaglia interna di retroguardia. Che poi, dire che Renzi è come Berlusconi, o meglio come Craxi (altro che Berlinguer...), riesce meglio ai 5 Stelle.

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