giovedì 23 maggio 2013

L'ultima goccia di splendore

La prima volta che incontrai Don Andrea Gallo ero molto più giovane di adesso. Ero segretario del Pds di Novi Ligure e facemmo un dibattito alla Festa dell’Unità con lui e Marida Bolognesi, che si occupava in Parlamento di politiche sociali. Si parlò di molte cose, soprattutto di immigrazione e di integrazione. Persino di jus soli. Quella sera, a rappresentare la comunità cristiana novese, era presente un altro prete vicino agli ultimi, Don Giuseppe Bruniera, che stava costruendo la meravigliosa realtà del Banco Alimentare.
La serata era stata voluta e organizzata da Michele B. Fasciolo, che qualche mese prima aveva già invitato Don Gallo a un’assemblea del Liceo Classico Doria della quale tutti ancora si ricordano bene. Don Andrea disse che tornava volentieri a Novi Ligure, perché “quando mi hanno chiamato per invitarmi, ho sentito la voce di un giovane con tanta passione e ho pensato che qui da voi c’è una speranza”.
Parlò come sapeva parlare lui, con quei toni che gli sono stati anche rimproverati. E con quella passione spirituale e civile che lo ha fatto amare da tutti, anche da chi non ne condivideva le idee. Allora Don Gallo era un personaggio locale, conosciuto per le sue opere a Genova e nell’entroterra.
Oggi lo riscopro punto di riferimento per tanti ragazzi che vent’anni fa erano bambini. Lo ritrovo coscienza critica di un’intera Nazione e mi sento molto piccolo di fronte alla sua, autentica, grandezza.
Genova e l’Italia perdono un altro pezzo – forse l’ultimo – di amore per la vita e impegno per gli ultimi di cui, oggi più di prima, si sente tanto bisogno. Forse davvero l’ultima “goccia di splendore, di umanità, di verità”.

mercoledì 8 maggio 2013

Via il Porcellum, subito!

Quando ho votato per la prima volta era il 1994. Votai per un anziano professore socialista - Giuseppe Maspoli - nel collegio Novi Ligure - Tortona per la Camera. E votai il Pds sulla scheda per la "quota proporzionale". Le cose non andarono come speravo, ma potei almeno dire, per i due anni che durò quella legislatura, che il candidato di Forza Italia - l'imprenditore Gian Piero Broglia - non lo avevo votato. E non era nemmeno dei peggiori.
La sera delle elezioni, tutti sapevano che aveva vinto Berlusconi. Io non ne fui contento, ma sapevo chi avrebbe governato. Non lo avevo scelto, ma altri - democraticamente, la maggioranza - lo avevano scelto. Mi rifeci qualche anno dopo, quando L'Ulivo vinse le elezioni. E la sera stessa tutti seppero che Romano Prodi sarebbe stato il nuovo Presidente del Consiglio.
In questi anni molti hanno provato a spiegarmi i difetti insanabili di quella legge elettorale, a partire dal fatto che non impedì i ribaltoni. Io pensavo piuttosto che il problema principale fosse il permanere di una "quota proporzionale" che, per la Camera, era assegnata su liste di partito bloccate. Arrivammo, per via referendaria, a un pelo dalla sua abolizione.
Poi tutto cambiò. Con una delle più clamorose sconfessioni della volontà popolare che in quel referendum si era comunque espressa, la quota proporzionale con lista bloccata fu estesa al 100% dei parlamentari da eleggere. Quella legge fa schifo, allontana i cittadini dalla politica, toglie loro la possibilità di scegliere il Governo e i parlamentari. In poche parole: questa legge elettorale è immensamente, vergognosamente, insanabilmente peggiore di quella precedente.
Per questa ragione, chi voglia davvero cambiare qualcosa nella politica e nel suo rapporto con i cittadini, dovrebbe fare una cosa subito, qui e ora: abolire la vigente legge elettorale e ripristinare quella precedente.
Poi si potrà discutere di riforme istituzionali, di un nuovo assetto dello Stato e dei poteri, di nuove forme di Governo. Tutte cose necessarie e urgenti, sulle quali si misureranno le capacità e le intenzioni di cambiamento di questo Parlamento.
Ma per cancellare questa legge elettorale bastano venti giorni, non servono maggioranze qualificate né doppie letture. Si può fare subito, si deve fare subito. Per dimostrare che, sulle riforme, il Parlamento fa sul serio. E per garantire all'Italia che, qualunque cosa succeda, non voteremo mai più con questo schifo di legge elettorale.
Su questa proposta, l'Associazione Adesso!Milano ha lanciato una petizione. Comunque la pensiate su tutto il resto, se siete d'accordo sulla necessità di togliere di mezzo la "legge porcata", vi invito a firmarla a questo indirizzo:

https://www.change.org/it/petizioni/parlamento-italiano-via-il-porcellum-subito-2

domenica 5 maggio 2013

C'è da essere scemi

Leggo in giro che qualcuno sta pensando a un congresso "chiuso" per il Pd. Quando la proposta è tanto grave - e inverosimile - la fantasia dei commentatori va a ruota libera. 

Si parla di un congresso per soli iscritti, di "tessera del tifoso" per eleggere il segretario. Qualcuno dice che voteranno solo gli iscritti 2012 (e non quelli che a fine anno furono caldamente consigliati di aspettare le "tessere nuove" per aderire...). Altri si spingono a ipotizzare un "congresso per tesi". Se non sapete cosa vuol dire, non ve lo spiego... Intanto sono sicuro che un "congresso" del genere non interessi a nessuno.

Pacatamente, dico: per pensare di affrontare così la tragedia in cui si è infilato il Pd, c'è da essere scemi. Oppure, c'è da essere tanto accecati dalla paura, dal risentimento e dal settarismo tracotante, da apparire scemi a qualunque normale osservatore esterno. Che all'atto pratico, visto che tra gli osservatori esterni rientra il 90% dei nostri elettori, è più o meno la stessa cosa.

Quando abbiamo fondato questo Partito, ci siamo mossi da un'oggettiva crisi delle forme politiche tradizionali. L'idea di fondo era di costruire una comunità dentro la quale si potesse stare con gradi diversi di coinvolgimento: ti iscrivi per entrare negli organismi dirigenti e dare una mano, voti ed eleggi gli organismi dirigenti (tutti) da semplice elettore.
Quel Partito ha raggiunto il massimo del consenso elettorale, in un momento difficile per il centro-sinistra: otto punti in più di quelli presi oggi, quando il "giaguaro" sembrava già mezzo smacchiato di suo. Quel Partito ha saputo coinvolgere pezzi di società che non si erano mai occupati di politica, ha superato di slancio la discussione sulla "fusione a freddo" tra Ds e Margherita, grazie a forze nuove - spesso giovani - che entrarono in quei mesi. Dalle mie parti, il primo coordinamento cittadino del Pd fu eletto coi voti di un migliaio abbondante di cittadini. E si fecero anche parecchie tessere, molte in più di quelle che ci sono oggi.

Purtroppo, mentre quel Partito provava a costruirsi con questi caratteri di innovazione, era in moto un lavoro contrario che puntava alla restaurazione. I signori delle tessere e della burocrazia - quelli che controllano le ricche fondazioni proprietarie degli immobili ex Ds e i generosi "rimborsi elettorali" - hanno impiegato questi anni per costruire una forma-partito chiusa, autoreferenziale, non contendibile: una forma partito funzionale - solo - al mantenimento del loro potere e alla sua trasmissione per canali di cooptazione e nepotismo. Quando vedete o sentite taluni giovani e improbabili dirigenti del Pd, sapete da dove vengono...

Uno non pretende mica tanto, ma quel minimo senso della misura, persino del ridicolo, che imporrebbe la situazione in cui ci siamo cacciati. Qualunque persona di normale intelligenza capisce che abbiamo perso le elezioni perché ci siamo chiusi, anziché aprirci, perché siamo apparsi "vecchi" e "uguali agli altri", perché mentre proponevamo un "Governo del cambiamento" pochi ci hanno considerati autentici interpreti di qualche vero cambiamento. Abbiamo perso perché ha perso - per l'ennesima volta - la linea della chiusura, di un partito che per essere "forte" diventa più debole, di una burocrazia politica senza arte né parte, intesa solo a conservarsi contro ogni novità.

Ora spiegheranno che - comunque - siamo al Governo. E dobbiamo occuparci dei problemi del Paese, non di questioni organizzative che interessano solo gli iscritti - in effetti, pochini... - e qualche commentatore. Non è vero e sarebbe anche venuto il momento di smetterla con la "responsabilità" usata come un manganello. Il Governo deve fare alcune cose, il Pd deve sostenerlo perché si facciano, anziché porre distinguo. Perché va bene discutere e mettere paletti sull'abolizione dell'Imu, ma se ci opponessimo - per dire - all'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti o delle province, al dimezzamento dei parlamentari, alla chiusura del Senato, faremmo un definitivo pessimo servizio all'Italia e a noi stessi.

Poi, mentre sostiene il Governo, questo Partito deve pensare a sé stesso, a come rifondarsi per avere un ruolo decisivo nella politica italiana. Lo deve fare liberamente e con una discussione vera. Con regole democratiche e rispettando i propri fondamenti ontologici. Un Partito Democratico come quello che immaginano i signori delle tessere e della burocrazia, andrà incontro ad altre sconfitte e sarà un problema, invece che una risorsa, per l'Italia. Come si faccia a non capirlo, dopo tutte le sconfitte già subite, è materia per gli psichiatri più che per i politologi.

mercoledì 1 maggio 2013

Abolizioni

Io sono sempre stato favorevole a una tassa comunale sugli immobili che si applichi anche – e soprattutto – alle prime case. Sono sempre stato favorevole perché credo nel federalismo o, per dirla con meno retorica, al fatto che i sindaci siano scelti dalle stesse persone che poi ci mettono i soldi per far funzionare i comuni: “No taxation without representation”, o meglio viceversa. Ora, poiché la maggior parte delle famiglie italiane possiede la casa in cui abita, una tassa comunale sulle case è il modo migliore per collegare voto e portafogli.
Ero favorevole a questa tassa anche quando il centro-sinistra l’ha abolita per tre quarti. Lo sono rimasto quando il centro-destra ha tolto la parte restante. Lo sono ancora. Questo non significa – peraltro – che lo Stato non possa decidere di “restituire” le somme pagate dai cittadini e quindi "abolire" l'IMU, se questo rientra tra le priorità programmatiche del Governo.
Faccio un esempio: ogni cittadino paga la sua IMU al comune con le scadenze previste. Lo Stato gliela restituisce – nella dichiarazione dei redditi – in misura standard. Vale a dire: dato il valore della casa in cui abiti, ti restituisco il 4 per mille, meno la detrazione fissa (200 euro) e meno le detrazioni per i figli a carico (50 euro per ogni figlio). In questo modo, l’IMU sull’abitazione principale non c’è più, ma rimane il fondamentale collegamento tra voto e portafogli. Perché, se abiti in un comune che ha aumentato l’IMU dal 4 al 6 per mille, ad esempio, non avrai indietro dallo Stato tutto quello che hai speso. E potrai prendertela – giustamente – col tuo sindaco. Se invece hai la fortuna di vivere in un comune che ha diminuito l'IMU, riceverai indietro più di ciò che hai pagato. E potrai ringraziare di questo il tuo sindaco.
Facendo così, tutti i problemi sarebbero risolti. A partire dai flussi di cassa per i comuni. Perché invece, se togli l’IMU sulle prima case e la sostituisci con trasferimenti statali ai comuni, intanto complichi di molto i calcoli e rischi di favorire i comuni che hanno usato quella leva per aumentare le proprie entrate, poi c’è da vedere quando i soldi saranno versati nelle casse dei comuni. Un problema che, con la scadenza di giugno sospesa, già toglie il sonno a molti amministratori. Di più, con un meccanismo del genere, i comuni avrebbero tutto l'interesse a cercare gli evasori.
Dunque, piuttosto che avventurarci in una discussione ideologica pro o contro l’abolizione dell’IMU prima casa (poco credibile, visto che il centro-sinistra l’ha abolita già una volta e pericolosa, perché non possiamo lasciare al centro-destra il monopolio delle cose che piacciono alla gente), sarebbe più interessante discutere il come. Così tra l’altro i problemi dei comuni li affrontiamo subito. E li risolviamo, anziché lasciarli svolazzare a mezz’aria per mesi. Così non facciamo la solita parte di quelli che difendono la spesa pubblica improduttiva e –  quindi – le tasse che servono per finanziarla.
Tutto il discorso, sia detto per inciso, vale anche per le province. Che il Governo vuole "finalmente abolire". E speriamo non sia il Pd a mettersi, ancora una volta, di traverso.

in viaggio con Manubrio