sabato 23 marzo 2013

Morire per Palazzo Chigi 2

Il problema non è prendere la fiducia della Lega. Non lo sarebbe nemmeno prendere la fiducia di Berlusconi. Per capirci, non c'è niente di male nel voler dare un Governo all'Italia. Niente di male nel mettersi d'accordo con chi ci sta, per fare poche cose buone che servono al Paese.
Il problema è se lo chiami "Governo del cambiamento".
Il problema è se vuoi farlo su un programma in otto punti che avrebbe dovuto sedurre i grillini e che non ha nessuna speranza di essere realizzato con certe compagnie.
Il problema - infine - è se su quel Governo impegni tutta la credibilità e l'immagine del Partito Democratico: un Governo politico del Pd, con a capo il capo del Pd, fatto scommettendo che la personalità di Pierluigi Bersani sarà tanto forte da oscurare le contraddizioni e le debolezze di questa soluzione.
È un problema perché, se l'azzardo ti riesce, avrai portato Bersani a Palazzo Chigi. Poi vedremo a quale prezzo elettorale, politico e storico persino... Ma se non ti riesce, avrai la responsabilità - questa proprio storica - di aver rovinato, forse per sempre, le possibilità dell'unica forza politica in grado di dare un futuro decente a questo Paese. l'unica, se saprà cambiare e cambiarsi come serve e come dovrebbe.
Forse non moriremo per Palazzo Chigi. Ma rischiamo di morire, di Palazzo Chigi.

mercoledì 20 marzo 2013

Morire per Palazzo Chigi

Quindi, tra oggi e domani ci sono le consultazioni. Poi Bersani avrà l’incarico di formare il Governo, poi andrà alla Camera a prendere la fiducia, poi al Senato a provarci. Che il tentativo sia ardito lo ammettono in molti, che non si trasformi in un’incoscienza è interesse di tutti.
Per questo, se si comprendono le ragioni tattiche del deciso no a qualunque “piano B”, il sospetto che oltre alla tattica vi sia una strategia lascia perplessi. E preoccupati. Che si insista su presunti “pugnali” nelle mani di Matteo Renzi, di truppe mobilitate, di tradimenti in vista, non appena qualcuno evochi la possibilità di una soluzione, magari temporanea, che eviti immediate elezioni in caso di fallimento del tentativo bersaniano, non fa che confermare la preoccupazione.
Ora bisogna essere chiari, anche perché in gioco non c’è – come qualcuno pensa – il futuro politico di qualche dirigente del Pd, ma il futuro del Paese. E con questo non si scherza.
Allora, Pierluigi Bersani ha tutto il diritto di provarci. Forse ha persino il diritto di ignorare la risposta chiara e negativa del M5S alle sue offerte di collaborazione. Ha diritto di considerare quel rifiuto un tatticismo e ha il diritto di provare a mettere i grillini di fronte alle loro “responsabilità”. Ha diritto di mettere insieme un Governo con un sacco di ministri meravigliosi e di presentarsi alle Camere col programma in otto punti. Questa partita, se Napolitano gliela lascerà giocare, inizia domani e si conclude un minuto dopo il voto in Senato sulla fiducia. Fin qui, gli interessi di Bersani, del Pd e del Paese coincidono. Si provi.
Un minuto dopo, se la fiducia c’è, si comincia a governare. Se non c’è, inizia un’altra partita, nella quale la coincidenza tra interesse di parte e interesse generale è tutta da dimostrare.
Dunque pensare davvero – non solo dirlo tatticamente – che l’unica soluzione siano elezioni anticipate prima dell’estate, significa fare (forse!) gli interessi di una parte della nostra parte politica, ma non necessariamente quelli dell’Italia. Certo, Grillo potrebbe perdere consensi perché irresponsabile. Certo, il timore di un futuro terribilmente incerto potrebbe favorire un voto utile per il Pd. Certo che sì, ma se non bastasse? Se ne uscisse un Parlamento ancor più frammentato e incapace di dare un Governo al Paese? Se vincesse Grillo? Se vincesse il centro-destra?
Ecco qui, esattamente qui, l’interesse dell’attuale gruppo dirigente del Pd e quello dell’Italia si separano. Inesorabilmente. Agitare lo spettro della pugnalata alle spalle - di un tradimento renziano capace di impedire la nascita del Governo Bersani - per bloccare ogni soluzione alternativa al ritorno alle urne se fallisce il tentativo del Segretario, è il corollario inquietante e fastidioso di una strategia incosciente.
Potete chiederci tutto. Potete chiederci di credere in un Governo assembleare che si cerca di volta in volta la maggioranza in Parlamento. Potete chiederci di non ricordare quanto sarebbero diverse le cose, oggi, se avessimo raccolto per tempo la sfida di cambiamento che i tempi imponevano.
Potete chiederci tutto, non di morire per Bersani a Palazzo Chigi.

mercoledì 6 marzo 2013

La Lombardia

Nei giorni scorsi ne ho lette un po’ di analisi sul voto in Lombardia. Da qui doveva partire la riscossa del centro-sinistra e qui si è fermata, alle politiche come alle regionali.
Premetto che io non ci avevo capito molto: ero convinto che le regionali sarebbero andate peggio delle politiche, che la continuità del governo locale sarebbe stata difesa da una parte consistente dell’elettorato di centro-destra, disgustata invece da Berlusconi sul piano nazionale. Guardando i numeri, non avevo tutti i torti, ma avevo sottovalutato la forza di Umberto Ambrosoli.
E veniamo al punto: la sconfitta alle regionali lombarde è stata interpretata da alcuni come la conferma che il problema non sia la qualità e novità della nostra offerta politica. Si è perso in Lombardia, anche se il candidato era esterno ai partiti, nuovo, riconosciuto per la sua etica ferrea, giovane persino. Dunque, non si poteva fare di meglio. E soprattutto, gli elettori non ci hanno premiato dove avevamo un candidato più innovativo.
Si tratta di un’analisi consolatoria, comprensibile in bocca a qualche dirigente democratico duro e puro, ma che non regge alla prova dei numeri. In Lombardia, infatti, il centro-sinistra è andato meglio alle elezioni regionali rispetto alle politiche. Le elezioni regionali hanno registrato una maggiore polarizzazione del voto, con un consenso minore per grillini e montiani. Il travaso si è rivolto maggiormente verso il candidato del centro-sinistra.
Qui i numeri:

Dunque, Ambrosoli prende 580.000 voti in più del centro-sinistra alla Camera, mentre Maroni ne raccoglie 409.000 in più. In questi numeri si può leggere quello che si vuole, ma non il loro contrario. La Lombardia è una regione difficile per il centro-sinistra. Limitarsi a registrare la sconfitta sarebbe ingeneroso e ingenuo. Ma alle regionali – con quel candidato presidente – è andata molto meglio che alle politiche.
That’s it, anche se non piace.

martedì 5 marzo 2013

Degenerasse

Non è giusto impiccare una persona ad una singola frase, tanto più nel tempo della comunicazione totale. Tempo nel quale a tutti noi capita di sparare nell’etere, ogni tanto, qualche cazzata. Per questa ragione, non è giusto prendersela troppo per la sublime analisi scritta qualche tempo fa dalla neoeletta capogruppo del M5S alla Camera riguardo al fascismo, ai suoi esordi, al suo altissimo senso dello Stato e al suo interesse per la famiglia.
Sono cazzate, si capisce. Lo sono tutte. Lo sono anche se riferite ai primordi del movimento. Soprattutto quella sul senso dello Stato: un’organizzazione politica che si dota di squadre armate, che pratica – da subito – la violenza politica, che si batte – da subito – contro il parlamentarismo previsto dalla costituzione vigente, che diamine di senso dello Stato avrebbe?
Ma appunto, anziché impiccare la signora ad una frase, proverei a coglierne un aspetto positivo, una parola, una sola: “degenerasse”. Scrive queste cose sul fascismo, la capogruppo Lombardi, riferendosi ad esso “prima che degenerasse”. E dunque, sul concetto di “degenerazione” del movimento fascista vorrei ragionare. Come degenerò il fascismo? Come degenera un movimento politico?
Si può cominciare col dire che la libertà di stampa è una falsificazione borghese e reazionaria: i giornali hanno padroni, la vera comunicazione si fa altrove. I giornali vanno chiusi. O comunque, se chiudessero, non sarebbe una gran perdita.
Cerchiamo poi un nemico esterno, lontano e diverso, ma con molti e interessati amici qui da noi, cui dare la colpa dei mali subiti dal Popolo.
Continuiamo spiegando che il sistema della rappresentanza democratica è superato, inadatto all’evolversi dei tempi, inconcludente, corrotto e in combutta col succitato nemico.
Proseguiamo proponendo – in alternativa al partitismo corrotto e inconcludente – un rapporto diretto di comunicazione tra leadership e massa.
Diciamo ancora che ai partiti e ai riti obsoleti della rappresentanza democratica possiamo sostituire forme nuove, più moderne, meno divisive e più solidali per coinvolgere tutti nelle decisioni. Chiamiamolo Stato Corporativo, sennò qualcuno pensa che stia parlando d’altro, anziché del fascismo.
Infine, se già non lo abbiamo, troviamo un leader carismatico, tutto diverso dagli altri politicanti, che non dica quello che vuole ma lo faccia senza discuterne con nessuno. E magari, al suo fianco, un ideologo. Gente con le palle, capace di cambiare il Mondo. Almeno per mille anni.
Ecco, facciamo che questo è un pro-memoria. E diciamo che alla capogruppo Lombardi potrebbe tornare utile. S’intende, “prima che degenerasse”.

in viaggio con Manubrio