domenica 30 dicembre 2012

Il coraggio degli uomini liberi

Ci sono persone che hanno coraggio. Il coraggio di credere in qualcosa. Il coraggio di impegnarsi. Il coraggio di essere liberi, che in certi periodi è il più difficile da praticare.
A queste persone meravigliose va oggi il mio Grazie più grande, l'abbraccio più forte. A loro e con loro la certezza di aver fatto la scelta giusta: non come consolazione, ma come sicura base per costruire il futuro che noi tutti meritiamo.
Perché ormai lo sappiamo, il meglio deve ancora venire.
Grazie a Gianni Noli, prezioso consigliere nei passaggi più difficili. Grazie a Irene Noli, che c'è sempre nei momenti che contano. Grazie a Davide De Faveri, che ho trascinato per due mesi in un vortice dal quale chiunque sarebbe fuggito. Non lui. Grazie a Paola Cavanna, Simone Tedeschi e Enzo Garassino, perché le cose giuste noi le facciamo, anziché dirle. Mettendoci la faccia e tutto il resto.
Grazie a Biagio Zigrino, che ha detto e scritto alcune delle parole più belle mai lette sul mio conto.
Grazie a Franco Gazzaniga, che ha messo a disposizione tutto quello che ha. Grazie a Sonia Biglieri, magnifica giovane donna, sempre in prima linea. Grazie a Carlotta Codogno e al suo sostegno sempre incondizionato. Grazie a Francesco Andronico, ambasciatore nelle valli, che mi ha insegnato qualcosa su come in politica le "reti" contino. Grazie a Monica Milano e Marcello Ghiglione, che hanno aperto la prima pagina a mio sostegno e hanno fatto cose meravigliose a Pozzolo. Grazie a Carla Repetto, preziosa ambasciatrice in Val Lemme e grazie a Gabriele Bavastro, che la valle l'ha battuta palmo a palmo da 1.000 km di distanza. Grazie a Concetta Malvasi, che su certe cose non la pensa come me, ma ci si vuole bene. Grazie ad Alfredo Lolaico, uomo con una sola parola e tanti pregi. Ed è - lui sì - un uomo libero. Grazie a Marco Pastorini e agli amici di Predosa, dove oggi so di aver lasciato un buon ricordo. Grazie a Bruno Fioretti, Irma Sterpi, Dario Sterpi e Francesca Marubbi, che a Cassano Spinola fanno sempre le cose per bene. Grazie ad Angelo Marchelli e ad Alessandro Cervetti, che hanno portato il verbo in terre lontane...il primo, anche da malato.
Grazie a Gianni Ivaldi, la persona cui devo di più: l'assessore di cui ha più bisogno Alessandria, uomo stupendo e amato da tutti, che è riuscito - forse mio malgrado - a trasferire su di me molto del suo personale consenso. Grazie a Mauro Cattaneo e Daniele Viotti che hanno completato il capolavoro di Alessandria città.
Grazie infine alla mia Ilaria: la donna che chiunque vorrebbe al suo fianco in certi momenti. La donna meravigliosa che ha dato senso a tutto questo: con amore e senza paura, anche di fronte alle provocazioni e agli insulti più tristi.
Grazie ai 1.046 cittadini che hanno scritto il mio nome sulla scheda. Sarà che mi accontento di poco, ma questo numero mi fa girare la testa. E sentire qualche responsabilità.
Grazie a chi mi ha votato senza conoscermi. E grazie ai 305 novesi che mi hanno dato fiducia. Se qualcuno di questo è dispiaciuto, sono piccole miserie per gente senza qualità. E comunque, dovrà farsene una ragione...
E insomma, è proprio vero: il meglio deve ancora venire.


mercoledì 12 dicembre 2012

Io ci provo

Lo so che non conviene, che è meglio essere prudenti, valutare il contesto, stare attenti a non bruciarsi. Ma questo appartiene al modo di fare politica che volevamo e vogliamo rottamare.
Questo tempo, il nostro, è il tempo del coraggio e dell’entusiasmo. Che devono essere più forti della pigrizia. E, soprattutto, di ogni paura.

Quindi, io mi candido alle primarie del Partito Democratico per il Parlamento (per la Camera, perché sono troppo giovane per il Senato). Mi candido perché ho 37 anni e ritengo di avere l’esperienza e le competenze necessarie per servire bene l’Italia. Perché conosco la Pubblica Amministrazione, i suoi punti di forza e di debolezza: sono consigliere comunale a Novi Ligure dal 1995 e faccio l'assessore al bilancio dal 2004. E, lavorando in un'azienda internazionale, conosco anche i problemi del settore industriale.

Sono convinto che questa mia esperienza su due fronti – un caso molto raro nel nostro Partito – sia una risorsa che posso e devo mettere a disposizione del mio territorio e del Paese. Credo che all’Italia servano politiche di profonda riforma del settore pubblico e di sostegno e rilancio delle attività produttive private.

È anche per questo che ho combattuto con passione per la candidatura di Matteo Renzi a Premier per il centro-sinistra. Il Partito Democratico ha bisogno di persone credibili per rappresentare la spinta che tanti nostri elettori ci hanno dato con lo straordinario sostegno accordato a Matteo. E ha bisogno di donne e uomini nuovi, integri e liberi. Gente che ha costruito la propria vita e la propria carriera sul mercato e nel confronto quotidiano con la concorrenza; che conosce il significato della parola MERITO; che può cambiare l'Italia con la forza delle proprie idee.

Ecco. Io sono uno di loro.

sabato 1 dicembre 2012

Mia madre e la vostra paura

Mia madre, 74 anni e una sospetta frattura in via di guarigione, è tra i 40 fortunati vincitori della lotteria del ballottaggio in provincia di Alessandria. La sua richiesta di ammissione al voto - inoltrata tramite il sito domenicavoto.it - è stata accolta dai commissari del popolo alessandrino, riuniti tutta la notte per "separare il grano dal loglio".
È una dei pochi ammessi - le richieste erano centinaia - e io non capisco il perché. La sua motivazione, alquanto generica (ero a letto per i postumi di una frattura), difetta di un requisito: la giustifica per il 25 novembre, ma non per tutto il periodo compreso tra il 4 e il 25, quando avrebbe potuto preregistrarsi. Anche online.
Dunque? La sua richiesta è stata accolta e molte altre - altrettanto generiche e valide solo per il 25 - no. Perché?
Perché non può votare la signora Liliana che era in viaggio o sua sorella, che era malata? Perché non votano Marta e Luisa, che avevano la febbre alta? E così tutti quelli che lavoravano, che erano via, che avevano problemi in famiglia?
Sembra una Spoon River, ma per fortuna stanno tutti bene.
Forse non possono votare perché nessuno - nella commissione - li conosce di persona? O perché il loro figliolo non ha un blog che qualche commissario del popolo compulsa freneticamente, ogni giorno, alla ricerca delle prove di deviazionismo? Ci sarebbe da ridere, ma mi viene da piangere.
Ma soprattutto, cosa dobbiamo dire a chi ha mandato la mail per tempo e con tutte le motivazioni, ricevendo la seguente risposta: "Hi. This is the qmail-send program at mxavas2.aruba.it.
I'm afraid I wasn't able to deliver your message to the following addresses. This is a permanent error; I've given up. Sorry it didn't work out. <
alessandria@primarieitaliabenecomune.it>: user is over quota"?
Gli diciamo che - per quanto ci riguarda - può andare a farsi benedire. Noi siamo un partito serio, mica ci interessa il suo voto...
Questa è la fiera della pusillanimità. Ma anche tutta la vostra paura non può, non può, non può giustificare un errore politico tanto tragico.
Vi prego, ripensateci!

martedì 27 novembre 2012

Mia madre e il ballottaggio

Mia madre ha 74 anni. Nella sua vita ha sempre votato per il Partito Comunista Italiano, poi Pds, Ds, Pd. Non si è mai sbagliata… Fosse per lei e fosse stato possibile, alle primarie avrebbe votato Enrico Berlinguer. O al limite Ernesto Guevara. Non potendo, avrebbe forse votato per Matteo Renzi, in parte perché pensa che dobbiamo cambiare tutto, in parte perché mi vuole bene.
Avrebbe, ma non lo ha fatto. Semplicemente, perché domenica 25 mia madre era ferma a letto, per i postumi di una sospetta frattura. Era la prima volta – tra elezioni, referendum, primarie – che non andava al seggio. Ne è stata molto dispiaciuta, come sanno esserlo solo le persone della sua generazione, che considerano l’esercizio del voto – non solo un dovere – ma soprattutto una soddisfazione personale.
Mi è capitato spesso, nei vent’anni in cui ho frequentato i seggi elettorali, di ascoltare critiche nei confronti di noi militanti di sinistra, accusati di “portare a votare la gente in barella”. In tutti i casi, ho invitato i miei interlocutori a parlare con quelle persone anziane, che faticosamente raggiungevano il seggio accompagnate da altri. Parlare con loro per scoprire che quella di votare era una loro scelta, una volontà precisa, non negoziabile. Avevano “messo in croce” famigliari e amici per settimane, per essere sicuri che qualcuno li portasse al seggio il giorno del voto.
Noi tutti sappiamo che le cose stanno esattamente in questo modo.
Probabilmente mia madre non sarà in grado di raggiungere il seggio neppure domenica 2 dicembre. Ma se solo potrà, mi chiederà di portarcela. Dovrò risponderle che non si può, perché dovrei prima portarla – tra giovedì e venerdì – nella città di Alessandria (20 km da Novi Ligure, dove c’è il suo seggio e circa 30km da dove vive oggi) al cospetto della “commissione provinciale”, dove esibire i “documenti” che dimostrino la sua impossibilità a registrarsi il giorno 25 novembre. E questo non sarà proprio possibile.
Beh, io questa cosa non so come spiegargliela. Si sente di farlo Nico Stumpo?

sabato 24 novembre 2012

Se vince Matteo, cambia tutto

"Appello al voto" pubblicato su Il Novese

Matteo Renzi è la più grande novità politica degli ultimi vent’anni. La sua candidatura è l’unica occasione per uscire dal pantano in cui ci ha trascinato una politica inconcludente e spesso imbarazzante.
La proposta di Matteo rappresenta un’autentica svolta nel modo di pensare e organizzare la politica e, soprattutto, è un’ipotesi di governo che porta con sé una solida e credibile riforma del sistema economico.
Intanto, una drastica riduzione dei costi della politica: metà parlamentari a metà prezzo, zero rimborsi elettorali e zero vitalizi; un Governo di 10 ministri, 5 donne e 5 uomini. Ma anche la riduzione della spesa pubblica improduttiva: -20 miliardi di spese per beni e servizi (i trasferimenti agli enti locali, i servizi sociali e gli stipendi non si toccano) per dare 100 euro al mese a chi ne guadagna meno di 2.000. E poi: un diritto del lavoro semplificato che tuteli anche i precari oggi lasciati senza alcuna protezione; un nuovo ruolo alla scuola che torna al centro della cultura; più asili nido, una nostra vera fissazione.
Ma soprattutto, Matteo guarda con determinazione al futuro con una proposta politica che non si rivolge ai partiti e partitini, ma direttamente ai cittadini.
Chi ha partecipato, lo scorso fine settimana, alla grande riunione alla Leopolda di Firenze ha potuto capire bene chi siano i sostenitori di Matteo Renzi: donne e uomini con un ruolo nella società, spesso quarantenni con figli al seguito. Donne e uomini insieme finalmente, perché per la prima volta c’erano castelli gonfiabili e baby club per bambini a disposizione dei partecipanti a una riunione politica: un segno piccolo, ma chiaro, di quali siano le “nostre” priorità.
Ogni giorno incontriamo persone che ci dicono “Se candidate Matteo Renzi, io vi voto”. A loro dobbiamo chiedere un piccolo sforzo: Matteo deve vincere le Primarie, un risultato possibile che richiede però l’impegno di tutti. Votare è facilissimo, basta andare al seggio con la carta d’identità e la tessera elettorale, ritirare la scheda e tracciare una croce sul nome di Matteo Renzi.
A chi ha già deciso di votarci, a chi ha sempre votato per il centro-sinistra vogliamo dire una cosa: Matteo Renzi ha dimostrato di essere un ottimo amministratore pubblico e ha fatto le cose che propone per l’Italia – cose di sinistra – da sindaco di Firenze. La rottamazione non è una battaglia contro gli anziani, ma la necessità di chiudere con una classe politica che ha fallito. Chi vuole bene al Partito Democratico, come gliene vogliamo tutti noi, scegliendo Matteo Renzi gli darà più forza e l’opportunità di vincere e governare.
C’è già una Nuova Italia, un’Italia viva che vuole tornare a crescere. Una generazione fatta non di ragazzi, ma di donne e uomini preparati che si sono formati nelle loro professioni e nell’amministrazione dei comuni. E sono pronti ad assumersi le proprie responsabilità e a guidare l’Italia. Chi crede che questa sia una buona idea per il futuro di tutti noi ha una sola cosa da fare: andare al seggio e votare MATTEO RENZI.

giovedì 15 novembre 2012

Farmacie e ideologie

C’è questa discussione che stiamo facendo a Novi Ligure sulla farmacia comunale (l’unica che abbiamo), che mi pare aiuti a capire alcune cose. Su com’è stata la politica, su come sia adesso, su come potrebbe e dovrebbe essere. Nel nostro piccolo e magari anche nel grande.

Allora, succede che un paio di anni fa ci siamo posti il problema di ricavi e utili in preoccupante diminuzione. Esisteva il rischio che, da un utile (troppo) basso, si arrivasse addirittura a rimetterci. E davvero una farmacia che perde soldi, per quanto pubblica, non è tollerabile. Chi sarebbe in grado di spiegare a un cittadino che gli chiediamo anche un solo centesimo di tasse in più per “difendere” un negozio che dovrebbe invece far soldi?

In due anni le cose sono cambiate. Diciamo un po’ cambiate – non abbastanza – ma qualcosa è successo: con una nuova gara per l’acquisto dei farmaci, il margine è migliorato di due punti e mezzo e l’utile arriverà sui 25.000 euro. Che è poco, ma è già qualcosa.

Il Consiglio Comunale ha deciso che i ricavi devono ancora migliorare. E ha chiesto ai nostri farmacisti di proporre soluzioni da inserire in un piano d’azienda: nuovi servizi, attività aggiuntive, cambi organizzativi. Il tutto con un dettaglio dei costi per farlo, il miglioramento dei ricavi previsto, i tempi di realizzazione. La Giunta ne farà un piano di rilancio che proporrà al Consiglio, il quale deciderà quali proposte finanziare col prossimo bilancio. Seguirà uno stretto monitoraggio dei risultati: se una soluzione funziona, si procede. Se non funziona, ci si ferma subito, prima di sprecare inutilmente soldi dei contribuenti.

Mi pare che stiamo facendo un discreto lavoro. Che esce dallo schema tradizionale del dibattito tra chi vuole che la farmacia “resti pubblica” e chi vuole “privatizzare” la farmacia. Questa discussione ideologica – che è durata un quarto di secolo – ha qualche responsabilità per il deterioramento dei risultati.

Chi difende la proprietà pubblica come una bandiera, dice che le cose vanno bene così, anche se vanno male. Chi vuole “vendere” considera impossibile gestire in profitto un’azienda pubblica. Dunque, sa che le cose vanno male, ma ritiene che non possano andare meglio. Tra "vorrei ma non posso" e "potrei ma non voglio", il risultato è – facilmente – la paralisi… E gli alibi per giustificare una situazione ingiustificabile si sprecano.

Ecco, mi pare che stavolta abbiamo rovesciato la discussione e l’abbiamo messa sui binari giusti. Non abbiamo deciso che la farmacia deve restare pubblica “perché ci piace così”. Non abbiamo deciso che la farmacia va venduta perché il privato “è meglio”. Non abbiamo deciso di spendere un po’ di soldi sulla farmacia “e poi vediamo se succede qualcosa”.

Un bel cambio di passo. Speriamo lo abbiano capito tutti.

domenica 4 novembre 2012

L'Unione dei Progressisti

Ieri me l'ha detto uno di Rifondazione: "Diliberto ha fatto l'accordo con voi del Pd, così gli date cinque posti sicuri in lista e altri cinque da guadagnare"Uno può dirmi che sono un malizioso e che quello ha il dente avvelenato. O anche viceversa. Può darsi, ma con questa legge elettorale e con lo sbarramento, come volete che si facciano gli accordi coi partiti dello zero-virgola?

E dai, in principio furono i socialisti. Socialisti per Bersani, s'intende, che entreranno nelle liste del Pd e torneranno in Parlamento. Ora tocca ai comunisti per Bersani. Scommettiamo che entro qualche settimana avremo i verdi per Bersani e forse i dipietristi per Bersani? E l'Udeur? Ve lo ricordate, il partito di Mastella?

Mi piacerebbe conoscere l'opinione di Rosi Bindi, quella che proteggendo l'ortodossa unità dei gruppi parlamentari ha cacciato i Radicali eletti nelle liste Pd al grido di "stronzi".

E mi piacerebbe sapere cosa ne pensano tutti quei nostri elettori che ricordano con vergogna il periodo tragicomico dell'Unione. Quando i ministri andavano in piazza contro il governo e si discuteva per giorni su una dichiarazione di Alfonso Pecoraro Scanio o di Marco Rizzo. A proposito, un posticino in lista per lui non lo troviamo? Per gli estimatori di Assad siamo a posto, ci manca uno che abbia pianto la scomparsa di Kim Jong Il. E Marco-condoglianze-al-popolo-nordcoreano sarebbe perfetto...

No, non sembra l'Unione, lo è proprio. E non c'è nemmeno Romano Prodi. Sembra l'Unione, ma rischia la fine dei Progressisti: una gioiosa, inconsapevole, oggi pure arrugginita macchina da guerra... Aspettiamo solo che si svegli uno dall'altra parte - con faccia nuova e una mezza strategia - e vedrete che fine facciamo. La stessa di 18 anni fa.

La parte più divertente è che, mentre rispolverano certi (politicamente) morti viventi, hanno da ridire sull'impegno politico di uomini perbene come Giorgio Gori. E si offendono pure, se dici che le hanno sbagliate tutte e che vogliono continuare a sbagliare.

L'unico conforto è che, stavolta, c'è un'alternativa che si chiama Matteo Renzi.

mercoledì 31 ottobre 2012

Va tutto bene

Si capisce che l’elezione di Rosario Crocetta è un bene per la Sicilia. Per la prima volta è scelto un presidente fuori dallo schema della destra che – da oltre vent’anni – controlla l’isola con metodi di raccolta del consenso a tutti ben conosciuti. Questo nuovo presidente, per la sua storia personale e politica, è davvero una speranza. Anche se ha preso il 30% dei voti, anche se metà dei Siciliani non ha votato, anche se ha prevalso perché il centro-destra ha presentato due candidati. Nonostante tutto, da presidente può tentare di cominciare una storia nuova e diversa per la Sicilia. Non è poco e forse è davvero un risultato storico. Spesso la Storia segue percorsi improbabili.
Quindi, più che il risultato di suo, la percentuale presa dal candidato e dai partiti, il ruolo tutto particolare dell’Udc siciliana… Ecco, più di tutto questo – che spiega come si possa vincere col 30% dei consensi senza essere per questo mezzi-vincitori –  il dato da analizzare è quello dell’astensione. Un risultato sorprendente, specie se si consideri quanto la politica sia importante in Sicilia, per il ruolo pesante e pervasivo che il settore pubblico ha nella vita e nell’economia dell’isola.
Un risultato che deve far riflettere tutti, persino il Movimento 5 Stelle. Perché è chiaro che, presente nella competizione una lista anti-sistema come quella di Grillo, il numero degli astenuti risulta ancora più sorprendente. Come sarebbe a dire? C’è il partito degli anti-partito e metà degli elettori, per manifestare il proprio distacco o disgusto dalla vecchia politica, anziché votarlo se ne sta a casa? Ecco, persino il 5 Stelle non è poi così capace di intercettare la voglia di novità e di cambiamento di molti elettori.
A maggior ragione, visti i risultati, non ne sono capaci le altre forze politiche. Purtroppo questa tendenza non è solo siciliana. La partecipazione al voto, anche alle ultime elezioni amministrative e anche dalle mie parti, è tragicamente scesa. Gli eletti sono scelti da un numero sempre più ridotto di elettori. Questo è un problema.
Questa roba qui c’entra un sacco con le nostre discussioni. Perché aprire o chiudere alla partecipazione popolare, esporsi o meno al rischio che le scelte dei cittadini siano differenti dalla volontà dei gruppi dirigenti, ha molto a che fare con la possibilità o l’impossibilità di riavvicinare almeno una parte degli elettori delusi, arrabbiati, intenzionati a non votare.
Vabbé, mica serve andare avanti, che siamo sempre lì: chi si accontenta e spera basti accontentarsi, contro chi ha capito che accontentarsi può essere assai pericoloso. E pensa che dovremmo essere noi a proporre, anziché esorcizzarla o demonizzarla, la novità capace di rimettere in moto il sistema democratico italiano. Una responsabilità non da poco, che con cavilli e ditte da difendere sarà complicato onorare.
Ma se dici che Crocetta ha preso metà dei voti della Finocchiaro la volta scorsa, Bersani si preoccupa. Perché lo dici, non perché è vero… Va tutto bene, Madama la Marchesa! Ci vuole male chi dice il contrario.

martedì 23 ottobre 2012

La paura e il coraggio

La verità è che le regole fissate per le primarie – farraginose, inutili, da azzeccagarbugli – sono lo specchio della realtà. Ci sarebbe da discutere a lungo su quale Partito Democratico possa avere in mente chi costruisce certi muri e pianta simili ostacoli alla partecipazione dei cittadini. Ci sarebbe da discutere sulla sincerità di adesione di molti a quel progetto, che aveva presupposti e ambizioni opposti.
Ne avremmo molte da dire, sul ripiegamento del Pd intorno alla propria organizzazione, su una mistica del “partito forte” che ha prodotto – non paradossalmente – l’esatto contrario: un partito sempre più piccolo, con meno iscritti, meno sezioni, meno radicamento territoriale, meno feste. Non paradossalmente, perché se ti rinchiudi nel fortino, molti se ne vanno. Non solo i cittadini che partecipano alle primarie, ma anche gli iscritti che non riconoscono più il loro Partito e le migliaia di volontari – pochi dei quali con la tessera in tasca – che ogni anno lavorano nelle feste di quel Partito.
Ci sarebbe molto da dire, ma ho l’impressione che siamo all’epilogo. Tutto sta a vedere come questo epilogo si consumerà. Perché una cosa è ormai chiara: questo Partito Democratico ha fatto il pieno, è un partito che vale il 25%, che può prendere un paio di punti in più se ne azzecca qualcuna. Ma che può scordarsi – se non dopo un profondo cambio di prospettiva – di andare oltre, con tutte le implicazioni del caso.
Ci sono due modi di guardare al futuro e due epiloghi possibili: quello di chi si accontenta e quello di chi non ha più voglia di accontentarsi. E le regole ne sono lo specchio: chi pensa che il problema sia difendersi dagli assalti, resistere e arrivare alle elezioni, sperando che le difficoltà degli avversari ci facciano vincere. Contro chi pensa che il centro-sinistra debba proporre una grande svolta politica, un rinnovamento profondo nei metodi e nelle persone, un programma al passo con i tempi, calato in modo pragmatico in una realtà che, da difficile, può trasformarsi in occasione per nuove opportunità.
Alla fine, è proprio un confronto tra conservazione e novità. E nessuno dubita che le regole per le primarie, scritte così, siano farina del primo sacco: “figlie della vostra paura, non del nostro coraggio”, come ha detto Matteo.
Il problema è che le regole non sono forma, ma sostanza. Se già adesso il Pd è in grosse difficoltà e rischia di subire l’assalto di Grillo o qualche invenzione berlusconiana dell’ultimo minuto, come starebbe se le primarie fossero un flop? Come starebbe se Bersani le vincesse con un numero di partecipanti molto inferiore a quello delle precedenti tornate? Su questo avete ragionato? Perché si capisce che l’unico risultato – certo – di queste regole sarà un disincentivo alla partecipazione.
Da queste primarie rischia di uscire un Pd più debole, meno ambizioso, meno credibile di quello che ci entra. Non perché il Partito si spacca, o qualcuno lo spacca, ma perché la difesa della “Ditta” si manifesta, ogni giorno di più, per quello che è: la difesa dei titolari della ditta. Quel Pd non avrà la forza per imporsi con nessuno e Bersani non sarà il prossimo Presidente del Consiglio. Perché, bene che vada, saremo il partito di maggioranza relativa. Assai relativa. Se andrà bene, potremo partecipare al Monti-bis, con buona pace di chi sulle polemiche contro il Governo che sostiene sta facendo anche la campagna delle primarie. Se andrà male, meglio non pensarci.
Con Matteo Renzi si può rovesciare questo quadro. Perché Matteo parla a tutti e può convincere molti elettori delusi, sparpagliati, in attesa di una novità. Esattamente quello che gli viene rimproverato: piacere a chi “non vota” per il Partito Democratico. Ma che lo voterebbe, se fosse lui il candidato. E vaglielo a spiegare… Matteo può uscire dal fortino. Non per mettersi d’accordo con gli indiani, ma per raccogliere gli elettori stufi, stanchi, sfiduciati. E far crescere, di molto, i voti al nostro Partito.
Ecco, chi vuole bene al Partito Democratico e vuole vederlo al governo dell’Italia, dovrebbe riflettere. Perché se mettiamo da parte per un attimo la propaganda, le bugie e tanta paura del Babau seminata ad arte, potremmo scoprire che al Pd “conviene” la vittoria di Matteo alle primarie.

lunedì 22 ottobre 2012

Bisogna sorridere

Bisogna sorridere, per diverse ragioni.

Intanto perché abbiamo un progetto e una speranza. Poi perché sorridere fa bene. Ancora, perché chi ha coraggio sorride. E adesso è il tempo del coraggio. Infine, perché se 1.200 persone – alle quattro del pomeriggio di una domenica più fine estate che inizio autunno – si ritrovano in una sala di Alessandria per un’iniziativa politica del centro-sinistra, dovremmo sorridere tutti. Persino quelli che, invece, si sono incazzati. E pazienza per loro…

C’è una proposta, tra le molte illustrate ieri da Matteo Renzi, che ha dato particolarmente fastidio: quella di “restituire” 100 euro al mese ai lavoratori dipendenti che prendono meno di 2.000 euro al mese. Si tratta di un intervento costoso, sui 20 miliardi di euro, che Matteo propone di finanziare con un taglio del 10% della spesa “intermediata” dal settore pubblico.

Ci sono due modi per giudicare questa proposta. Entrambi legittimi, per carità. Capaci però di chiarire quali siano, a parte le polemiche pretestuose e i battibecchi, le vere differenze programmatiche tra il centro-sinistra di Renzi e quello proposto da Bersani.

C’è chi pensa che la spesa pubblica sia un dato di fatto, un aggregato che può aumentare se aumentano le entrate (qualche volta anche senza e si vedono i risultati…), ma la cui diminuzione non è, né può mai essere, all’ordine del giorno. È la visione di quegli amministratori e di quei governanti che, a ogni giro, aggiungono le proprie iniziative – e le proprie spese – a quelle che c’erano prima. Allineandosi alla comprensibile (ma non giustificabile) tendenza delle burocrazie ad autoalimentarsi e a crescere.

C’è chi, all’opposto, ritiene che la spesa pubblica debba essere tenuta sotto stretto e costante controllo. Le sue ragioni e giustificazioni devono essere riviste (la “review”…) spesso. Le spese che non servono si tolgono. Quelle che possono essere ridotte, si riducono. Sempre e comunque, perché non sono soldi nostri. E perché, se fare un chilometro di autostrada costa il doppio qui che in Germania, o qualcuno ci mangia o qualcuno è incapace. Ma l’unica cosa che bisogna fare è: cambiare.

Siccome nel Partito Democratico è pieno di persone serie e intelligenti, da molti anni l’obiettivo di ridurre la spesa pubblica è un nostro obiettivo. Da molti anni, denunciamo che il centro-destra, mentre predica il risparmio e il rigore, lascia correre le spese per beni e servizi, senza controllo e senza vergogna. Appartiene al patrimonio di esperienze e all’elenco, breve o lungo fate voi, di successi del centro-sinistra di governo il fatto di avere governato l’Italia meglio dei nostri avversari quanto a controllo della spesa pubblica.

Dunque, avrebbe senso ritrovarci tutti dalla stessa parte. Magari a dirci che l’idea di Matteo Renzi – per le sue implicazioni sociali, ma anche per l’impatto macroeconomico di un così potente rilancio dei consumi privati – è una buona idea. Magari, un’idea da realizzare comunque. Così parliamo di contenuti.

Ma chi vive di riflessi condizionati e su questi ha costruito un’intera storia politica, non ce la fa: a Matteo Renzi tocca il ruolo del nemico da abbattere, il portatore di interessi diversi da quelli dei lavoratori, delle donne, dei giovani, dei pensionati… il “Babau” che fu Berlusconi e che ora DEVE essere qualcun altro.

Così, la spesa intermediata diventa un totem da difendere, senza se e senza ma, dall’assalto dei nemici del popolo. Ridurre la spesa intermedia, significa non comprare le siringhe o la carta igienica per le scuole. E significa anche – così è stato scritto – che i comuni vanno al collasso e Alessandria non riuscirà a pagare gli stipendi. Sarà contento l’ex sindaco Fabbio di sapere che, se i dipendenti comunali resteranno senza stipendio, sarà colpa dei tagli di Monti e persino delle proposte di Renzi. Lui, Fabbio, si era quasi convinto che la colpa fosse sua.

Ma noi dobbiamo sorridere. E lasciare che siano gli altri ad arrabbiarsi, se non hanno di meglio da fare. Anche perché si arrabbiano a ragion veduta: Matteo la spesa l’ha ridotta davvero, a Firenze. E pure le tasse ha ridotto. Ha fatto la patrimoniale, perché ha aumentato l'IMU sulle seconde case e con quei soldi ha abbassato l'Irpef. Proprio come abbiamo fatto a Novi Ligure. Ma non ditelo in giro, che si arrabbiano ancora di più.

venerdì 19 ottobre 2012

Vedi Napoli


Guardate che Luigi De Magistris, il sindaco di Napoli, si lamenta. Riunirà il consiglio comunale davanti a Montecitorio per protestare contro il decreto “salva-comuni”, quello da cui è stata esclusa Alessandria e nel quale è invece ricompresa la sua città. Se capisco bene, dopo aver detto che non vuole leggi speciali e soldi a fondo perduto, l'ex magistrato lamenta il “commissariamento” dei comuni in difficoltà: tasse locali al massimo e controllo sui bilanci, in cambio di aiuti. Poi ci mette il carico da novanta: “E invece comprano i cacciabombardieri”. Vergogna. In effetti, quei soldi sarebbe meglio spenderli per finanziare, senza limiti e senza condizioni, i comuni che hanno fatto saltare i conti...

Lo dico perché non vorrei che qualcuno pensasse – perso nel dibattito falso tra amici e nemici del dissesto alessandrino – che il problema sarebbe risolto, se solo Alessandria venisse inclusa nel decreto “salva-comuni”. Purtroppo, non è così. E temo ci siano un paio di dettagli sui quali vale la pena di riflettere.

Il primo, di cui si è accorto De Magistris: la festa è finita. Soldi non ce ne sono più, né a Roma né altrove. Non è più tempo per interventi a pioggia e azioni straordinarie. Non possiamo più permetterci di “salvare” nessuno, se questo vuol dire mettere a carico del bilancio dello Stato le perdite degli enti locali. Perché lo Stato non ha i soldi per farlo e perché gli enti da “salvare” sono troppi. Da ieri, pare, si è aggiunta all'elenco anche la Regione Piemonte. Dunque, gli aiuti statali potranno dare fiato, sorreggere in qualche modo uno sforzo – spesso doloroso – che i territori dovranno però fare da soli: riducendo le spese, aumentando le tasse, riorganizzando e tagliando.

Il secondo, che discende dal primo: l'esclusione di Alessandria dagli aiuti appare ancor più fastidiosa, proprio dopo le parole di De Magistris. Perché ad Alessandria, magari con errori ma con impegno, stanno lavorando per rimetterli in ordine, i conti. E mi pare che l'amministrazione tutto abbia in mente tranne che la mobilitazione politica di queste settimane possa portare a scaricare sullo Stato il peso del dissesto.

Temo invece che tra i “nemici del dissesto”, a parte i “giapponesi” dell'ex sindaco Fabbio asserragliati nel loro ridotto, qualcuno non abbia ancora capito: se pensi che il problema non sia la situazione oggettiva dei conti, ma qualche cavilloso gioco politico che ti tolga le castagne dal fuoco, rischi di fare più danni di quelli che risolvi. E rischi, soprattutto, di mettere in testa alle persone che scendono in piazza che il problema abbia una soluzione facile. Bastava non dichiarare il dissesto. Sì, vabbé... Oppure, basta la volontà politica, come si dice.

Sappiamo che non è così, manco per niente. Che non ci sono soluzioni facili. Che business as usual non si potrà farlo. Ma bisogna spiegarlo proprio bene. Perché il giorno dopo l'intervento dello Stato, se ci sarà, non tutto sarà risolto. E il sostegno popolare che ha riempito le strade di Alessandria servirà più di adesso, per rendere tollerabile e comprensibile un non breve periodo di difficoltà e sacrifici.

In un'altra situazione, farebbe sorridere la gente che fa polemica perché “non si fosse dichiarato il dissesto, sarebbe tutto risolto”. In questa, di situazione, mette tristezza.

martedì 16 ottobre 2012

Il vento

Un mese fa, L’Unità pubblicava la recensione di Massimo D’Alema all’ultimo romanzo di Walter Veltroni. La notizia, che suscitò migliaia di commenti negativi sui social network, veniva data con molta enfasi: si chiudeva una storia di rivalità iniziata 18 anni fa, quando Veltroni era stato battuto da D’Alema nel consiglio nazionale che doveva scegliere il nuovo segretario del Pds. Questo, nonostante Walter fosse il preferito dalla base, ai tempi inutilmente consultata sull’argomento. Sembrava aprirsi, in vista delle elezioni politiche e alla faccia delle velleità rottamatrici, una stagione di concordia tra tutte le componenti storiche del Pci-Pds-Ds-Pd.
Oggi, dal sito del giornale fondato da Antonio Gramsci, partono e-mail per informare di una ultim’ora: Bersani dichiara che non chiederà a D’Alema di ricandidarsi al Parlamento. L’altro ieri era stato Veltroni a fare, volontariamente, un passo indietro: discorso chiuso, in due giorni, per entrambi i vecchi duellanti dell’estate 1994. Sempre che D’Alema non decida di portare fino in fondo la sua personalissima sfida, chiedendo comunque la deroga e mettendo in un imbarazzo forse insostenibile il suo candidato alle primarie per la premiership.
Nel giro di un mese, il mondo è cambiato. Per carità, si parla di un mondo piccolo e piuttosto antico. Anzi, molti penseranno che lo stesso parlare di queste cose sia l’esercizio di chi ama guardarsi l’ombelico, e non si occupa delle cose davvero importanti.
Ma come diciamo da un pezzo noi che proponiamo la rottamazione (quella che sempre oggi L’Unità chiama attitudine “fascistoide”) il ricambio dei vertici e l’uscita di scena dei protagonisti del centro-sinistra degli ultimi trent’anni è condizione necessaria – certo non sufficiente, ma strettamente necessaria – per rendere credibile una proposta di governo alternativa alla destra e ai nuovi populisti. La sequela di errori e sconfitte accumulati in questi lunghi anni rende necessario – in primo luogo agli occhi dei nostri elettori – quello che noi chiamiamo rottamazione e che da questa mattina persino Pierluigi Bersani invoca, sebbene con un altro nome: rinnovamento.
Il vento del cambiamento era tanto simile a una romantica illusione di qualche giovinastro ambizioso, che oggi spalanca davvero le porte e le finestre del Pd. Imponendo l’agenda del ricambio generazionale e rendendo irrimediabilmente indifendibile ogni tentativo di resisterle.
Questa evoluzione – in cui molti speravano, ma che non era scontata – si accompagna al definirsi, col passare dei giorni e delle settimane, delle diverse proposte programmatiche.
Nessuno dice più che Matteo Renzi non ha un programma. E tutti – o quasi – hanno capito che non basterà liquidarlo come “di destra” per averne ragione. Oggi è chiaro a tutti che c’è in campo – nel campo del centro-sinistra… e dove sennò? – una proposta nuova di rinnovamento dell’economia, della società e della politica di questo Paese. Che sarà capace di raccogliere ampi consensi in tutta la società assumendo la guida dell’Italia.
Europa, Futuro, Merito sono le parole che soffiano nel vento di questo autunno. Quel vento che, finalmente, abbiamo capito a cosa serve. E che no, con le mani, non si può proprio fermare.

mercoledì 10 ottobre 2012

Il Bianconiglio

Oggi Massimo D’Alema ha messo in chiaro un po’ di cose. Intanto, non intende rinunciare a ricandidarsi al Parlamento, dove siede da 7 (SETTE) legislature. Non lo fa per non darla vinta a Matteo Renzi, che vuole rottamarlo. E ovviamente, si rimette alla volontà del Partito, pur ricordando che egli è il presidente di una fondazione europea tanto importante da renderlo, più o meno, indispensabile.

Verrebbe da chiedersi cosa facciano oggi nella vita quelli che sono stati – come D’Alema – protagonisti della vita politica europea negli anni ’80 e primi ’90. Per dire, Lionel Jospin si è ritirato nel 2002, dopo l’eliminazione dal primo turno delle presidenziali francesi. D’Alema vuole fare il ministro nel 2013, 14 (QUATTORDICI) anni dopo le sue dimissioni da capo del Governo, date a seguito di una pesante sconfitta elettorale. E 38 (TRENTOTTO) anni dopo la sua nomina a Segretario Generale della Federazione Giovanile Comunista Italiana. Era il 1975, quando Matteo Renzi e io siamo nati. E Obama iniziava il liceo.

D’Alema si rivolge al Partito, che dovrà decidere sul suo futuro. Il Partito che, mentre modificava lo statuto per fare le primarie, aggiungeva un’interpretazione autentica della norma sul limite dei mandati: non tre mandati parlamentari – vale a dire, ti candido una volta, poi ti candido un’altra volta, infine ti candido una terza volta… poi basta – ma la durata di tre mandati parlamentari pieni – vale a dire 15 anni, cioè nella situazione attuale, quattro mandati. Quel partito lì, che si preoccupa di fornire simili, fondamentali, interpretazioni autentiche, avrà la forza di decidere che 7 (SETTE) mandati – almeno quelli, almeno… – sono abbastanza? Vedremo.

Resta il fatto che, se ieri la notizia erano le dimissioni, oggi sono le non-dimissioni. Come D’Alema non si ritira, così il mio amico Paolo Filippi non si dimette – entro oggi – da Presidente della Provincia di Alessandria per potersi candidare alle elezioni politiche di primavera. Ieri mi ha dato del populista e magari ha ragione. Ma continuo a non spiegarmi perché dovrebbe fare notizia il fatto che non si dimetta. Semmai, perché avrebbe dovuto dimettersi, proprio ieri? E perché dovrebbe essere un atto eroico quello di rimanere al posto nel quale gli elettori ti hanno messo?

Sembra la storia del Bianconiglio di Alice, quello che festeggiava tutti i giorni il suo non-compleanno. Dunque, visto che questo è l’andazzo e soprattutto per tranquillizzare gli amici, lo dico anch’io: oggi non mi dimetto. Ma anche: oggi non sono ammalato, oggi non mi sposo, oggi non cambio lavoro. Oggi nessuno di noi si è fatto male, non si preoccupi il presidente del Copasir…

Oggi è il mio non-compleanno. Fatemi gli auguri, please.

martedì 9 ottobre 2012

Quelli che... si dimettono

Poi ce l’hanno con me, che le province le voglio abolire.

Dunque, la notizia del giorno sono le dimissioni a catena dei presidenti di provincia: Asti, Biella, Milano, Napoli… e l’elenco si allungherà. L’accorpamento degli enti più piccoli – con tutto il codazzo di recriminazioni e polemiche da strapaese che lo accompagna – e la nascita delle città metropolitane sono le motivazioni presentabili di queste scelte. Col buon peso dei tagli governativi, che rendono “impossibile continuare l’attività”, mettono “in discussione i servizi”, “a rischio i posti di lavoro”.

La verità, purtroppo, è un’altra. Meno nobile e più inconfessabile: i presidenti si dimettono per potersi candidare alle prossime elezioni politiche. In qualche caso, per potersi ri-candidare, perché la legge impone le dimissioni anticipate – in questo caso, entro domani – a chi fa il sindaco o il presidente di provincia per poter correre alla Camera o al Senato. Ma non vieta a un deputato o senatore di candidarsi a presidente di provincia e, persino, di restare in Parlamento una volta eletto nell’ente locale. D’altronde – sia detto a vantaggio degli amministratori locali “puri” – le leggi le scrivono i parlamentari. Così, ci sono presidenti di provincia che già siedono in Parlamento e vorrebbero restarci. Altri che, ridotto o azzerato il loro ruolo amministrativo, vorrebbero andarci.

In ogni caso, i presidenti si dimettono, raccolgono le loro cose e salutano. Salutano gli assessori, tanto numerosi quanto spesso impegnati su deleghe che con le competenze delle province c’entrano niente. Salutano i consiglieri provinciali, anche quelli che contavano sui rimborsi spese per andare alla sagra della fagiolana. Salutano i dipendenti, quelle migliaia di lavoratori sui cui timori e preoccupazioni i presidenti hanno costruito mesi di polemiche e lamentazioni verso Roma. Li salutano e li lasciano soli di fronte a un futuro incerto.

Qualcuno ha creduto davvero che la difesa dell’ente provincia, della sua organizzazione e delle sue competenze, delle sue strutture e sovrastrutture politiche, rispondesse a ragioni diverse dalla conservazione del ruolo e del potere dei suoi amministratori? Beh, se qualcuno lo ha creduto, si è sbagliato.

Ora che il tempo stringe, i politici di provincia si sfilano e sperano nel grande balzo verso Roma. Fosse vero un 10% delle tragedie che hanno evocato nei mesi scorsi per i territori da loro amministrati, per la coesione sociale, per il personale dipendente degli enti interessati… Ecco, fosse vero il 10% delle disgrazie che hanno previsto come certa conseguenza della riforma voluta dal Governo, dovrebbero sentire il dovere assoluto di restare al loro posto, sino all’ultimo giorno, per gestire l’emergenza e salvare il salvabile.

Invece se ne vanno. E dimostrano che l’unica cosa davvero da salvare è la loro, personale, carriera politica.

lunedì 8 ottobre 2012

Lessico Famigliare 2.1

“Renzi è un cialtrone” (Rosa Russo Iervolino)
“Renzi è da rottamare” (Niki Vendola)
“Renzi? Messaggi berlusconiani. Lavoro per sconfiggerlo” (Rosy Bindi)
“Renzi dovrebbe dire cosa vuole fare per cambiare l'Italia” (Marina Sereni)
“Renzi non ha mai lavorato in vita sua” (Sergio Cofferati, dipendente Pirelli in aspettativa)
“Quella di Renzi è un’aggressione” (Massimo D’Alema)
“Forse non è così furbo come dicono; altrimenti sarebbe venuto qui, a parlare. Non può mica sempre cavarsela recitando i format di Gori” (Franco Marini)
“Ma lo sapete che Renzi vuole la privatizzazione dell’Inail?” (Laura Puppato)
“Lei lo sa che Renzi per la campagna ha già speso due milioni e 35 mila euro?”. Perché proprio 35 mila euro? “Lasci fare, che di queste cose me ne intendo. Ho calcolato tutto: camper, sale, alberghi, ristoranti…”. E da dove vengono i soldi? “Secondo me anche dall’estero…” (Ugo Sposetti)
“Le chiacchiere che girano tra i detrattori del sindaco di Firenze sono intrise di teorie da complotto giudo plutaico massonico: i finanziamenti arrivano da Israele e dalla destra americana” (Anonimo Democratico, dal Corriere della Sera)

Tra l’altro, pare che Matteo Renzi abbia la bomba atomica, ma non lo dice. Ah, sapesse Hugo Chavez di questo ennesimo complotto demo-pluto-clarabella-topolino, lo sistemerebbe lui…

domenica 7 ottobre 2012

Santi in Paradiso


Diciamolo, questa storia del Governo che salva i comuni nei guai, ma esclude Alessandria, non sta in piedi. Se c'è da scendere in piazza, ci vado anch'io.

La motivazione che gira è che Alessandria - avendo già dichiarato il dissesto - è in una situazione diversa dagli altri. Dando così ragione agli "ultimi giapponesi" dell'ex sindaco Piercarlo Fabbio, disperatamente intenti a spiegare che il dissesto è stato "voluto" da Rita Rossa, l'attuale sindaco eletto la scorsa primavera. Sono balle, perché il dissesto - che è un fatto, non un'opinione - c'era da mesi e da mesi avrebbe dovuto essere dichiarato. E sono balle perché la sacrosanta analisi della Corte dei Conti imponeva la dichiarazione di dissesto. Senza se, senza ma e senza spazi di mediazione. Quelli se li era bruciati tutti Fabbio nella sua strenua e inconsistente resistenza pre-elettorale.

Ma certo, se spieghi che ormai non c'è più niente da fare, quelli pensano pure di aver ragione. Se poi qualcuno si accorge che i comuni "salvati" sono in meridione, tocca trovare altri quindici conti in Tanzania, per evitare che la Lega riprenda fiato.

Ma diciamolo chiaramente: il concetto di "salvataggio" dei comuni in difficoltà è di suo sbagliato. Una roba che tradisce ogni idea di federalismo e autonomia. Abbiamo detto per anni - io dal 1994, quindi sono tra i più colpevoli - che volevamo più federalismo e quindi più responsabilità. Abbiamo fatto leggi e una riforma costituzionale per questo. Se i risultati, dopo qualche anno, sono il panorama di sprechi e schifezze delle regioni e il "salvataggio" dei comuni falliti, dovremmo dire che ci siamo sbagliati. Chiedere scusa, io per primo. E magari tornare indietro.

Registro che il dibattito sul "tradimento di Roma" ha preso questa strada: chi sperava nell'aiuto del ministro alessandrino Renato Balduzzi o dei parlamentari locali e ne è rimasto deluso contro chi di Balduzzi non si fidava e ripete "ve l'avevo detto io". In pratica: Alessandria non ha santi in Paradiso. Oppure, quelli che ha non hanno voluto, potuto, saputo aiutarla. Non mi sembra un bel dibattito. E non vorrei vivere in un Paese dove ottieni ciò che ti spetta solo se hai un amico influente a Roma.

Restando ai fatti e agli argomenti che si possono usare in questa "vertenza": il disastro lo hanno fatto gli altri. Certo, questo non basta, che altrimenti ogni nuova amministrazione potrebbe disconoscere i debiti fatti da chi c'era prima. E in sei mesi finiremmo, tutti, peggio della Grecia.

Ma possiamo dire almeno tre cose. La prima. Rita Rossa e il centro-sinistra alessandrino hanno denunciato per tempo il baratro che si stava aprendo nei conti del comune. E lo Stato avrebbe potuto intervenire prima, coi poteri che ha, anziché attendere le elezioni. La seconda. Rita Rossa ha iniziato da subito un lavoro di sistemazione dei conti che, già difficile, potrebbe rivelarsi impossibile se non supportato. La terza. Dove governiamo noi - non dico in Emilia o in Toscana, ma proprio in provincia di Alessandria - i disastri non li facciamo. E non sempre lo Stato ci premia.

A questo proposito, faccio due esempi da iscrivere alla voce coerenza dello Stato in materia di autonomie locali.

Uno: la sezione di controllo della Corte dei Conti ha chiesto a molti comuni - giustamente - di togliere dai loro bilanci i crediti più vecchi di cinque anni. Perché l'anzianità li rende inesigibili per definizione. Il comune di Novi ne ha cancellato circa un milione, chiudendo il bilancio con soli 160.000 euro di disavanzo. Qualche giorno dopo, la spending review ha invece imposto la svalutazione del 25% di questi crediti. Vale a dire, per chi ancora li ha nel bilancio, uno sconto del 75%... E molti amministratori, nonostante questo, si lamentano.

Due: rimettere soldi nelle tasche delle famiglie è fondamentale per far ripartire i consumi. Lo dicono tutti e lo ricorda anche il Governo. A Novi lo abbiamo fatto, cambiando l'addizionale Irpef e applicandola per fasce di reddito. Il ministero ci ha detto che non si può, che bisogna usare gli scaglioni, sennò viene meno la progressività... Come se la progressività fosse garantita da una tassa che puoi applicare con la stessa aliquota a chi guadagna 10.000 euro e a chi ne guadagna 10 milioni. Il risultato è che l'addizionale Irpef per chi ha un reddito medio e basso scende rispetto allo scorso anno, ma non quanto avremmo potuto e voluto. Va appena notato, a proposito di autonomia, che questa partita non incide per un euro sul bilancio dello Stato.

Ecco, per dire. Ma sono quasi stufo di dire, su questi argomenti potremmo ampliare la "piattaforma di rivendicazioni" di un territorio e - se vogliamo - di una parte politica. Che a Roma - accompagnati o meno - possono presentarsi forti, non di comprensibili recriminazioni, ma di buoni esempi, di pratiche positive, di un'autonomia esercitata con responsabilità e con giudizio. E non ricevono premi.

Se c'è da scendere in piazza, rischiamo di essere più forti. E più numerosi, persino.

venerdì 5 ottobre 2012

Yoani e noi


Yoani Sánchez ha la mia età. È nata 29 giorni prima di me, probabilmente in uno dei famosi, ben funzionanti ospedali di L'Avana. 

Il fatto è che a questa donna – blogger, dissidente, da ieri prigioniera politica – a me capita di pensare spesso. A lei e a quel paradiso caraibico che molti faticano ancora a definire per quello che è: un paese disgraziatamente schiacciato da una dittatura vergognosa e infame.

Il fatto, a dirla tutta, è che in questa mia coetanea mi capita spesso di specchiarmi. Vengo da una famiglia comunista, da un ambiente comunista. Ho avuto un'infanzia comunista. C'era il mito di Cuba, quello di Fidel Castro solo contro il Golia americano, quello ancora in voga del Che rivoluzionario globetrotter.

Quei miti hanno resistito a tutto, anche alla fine ingloriosa del socialismo reale. Ancora oggi, sembra difficile poter dire una parola semplice, chiara, definitiva sulla tirannia castrista: manca la libertà, ma ci sono gli ospedali. Manca la libertà, ma mancava di più nel Cile di Pinochet. Manca la libertà, ma gli Americani... E insomma, manca la libertà, ma pazienza.

Se ti domandi il perché di questa persistenza del fasullo mito cubano rispetto ad altre pagine del comunismo, qualche risposta arriva facile. A partire dal fatto che una vacanza sull'isola sia di gran lunga preferibile ad una settimana a Minsk o a Kiev: il sole, le aragoste, la musica, i sigari... e anche quell'altra cosa, che c'era ai tempi di Batista e c'è di nuovo. E che rende Cuba una meta turistica tanto desiderata, non solo dai nostalgici del socialismo reale.

Ma c'è qualcos'altro, che temo abbia a che fare con una certa incapacità a fare i conti – davvero – con la Storia. Quella che ha sancito, non la sconfitta di un sistema politico, ma la sua brutale inadeguatezza a garantire un minimo di speranza e di felicità ai popoli sfortunati che lo hanno incontrato sulla loro strada. Il sole, le aragoste e la musica sono oggi la triste cartolina ricordo di un “comunismo buono” che non è mai esistito, almeno al governo di qualche paese.

Chi, come me, ha l'età di Yoani ed è cresciuto in una famiglia comunista, ha dovuto fare un percorso – che definirei culturale, se volessi darmi delle arie – per uscire da quel mito, soprattutto nella versione soleggiata e rassicurante dei Caraibi. Chi, come me, ha fatto quel percorso, sente pungere il dolore dell'ingiustizia che donne e uomini come Yoani subiscono da quando erano bambini.

Ora che il tiranno moribondo l'ha messa in galera, spero che quel dolore lo sentiamo tutti.

giovedì 4 ottobre 2012

Contenuti. E numeri

Qualche amico mi ha chiesto se è proprio vero che abbiamo abbassato l'addizionale comunale Irpef, a Novi Ligure. In effetti sì, l'abbiamo abbassata. Quasi a tutti.

Ad esempio, così cambia il prelievo rispetto al 2011, in base al reddito annuo lordo individuale:


E questo è il risparmio - o l'aggravio - di spesa per un anno, sempre rispetto al 2011:

E qui il confronto con quello che succede negli altri comuni più grandi in provincia di Alessandria. Come dire, il benchmarking:


venerdì 28 settembre 2012

Contenuti. E sviluppo

Ieri sera, il Consiglio Comunale di Novi Ligure ha approvato una modifica ai regolamenti che renderà più facile aprire un'edicola e fare un po' di altre cose a chi ha voglia di provarci. Senza aspettare la consueta trafila delle interpretazioni e dei conflitti di competenze tra Stato e regioni, si è aperto subito la porta alla ventata di aria fresca del decreto sulle liberalizzazioni. 

Ha fatto bene l'assessore al commercio Paolo Parodi a presentare subito questa proposta, che completa un lavoro: quello che ci ha fatto stanziare soldi per aiutare chi vuole aprire una nuova attività. E che ci ha fatto abbassare di molto la tassa rifiuti per le nuove imprese, specie se aperte da giovani.

E insomma, si possono fare delle cose per rimettere in moto lo sviluppo. Si possono fare cose che non costano nulla. E ce ne sono molte. 

Se ne possono fare altre che costano qualcosa, se prima hai tenuto in ordine i conti, se non hai sprecato, se hai gestito entrate e spese senza rinviare i problemi al futuro.

Nel nostro piccolo, lo abbiamo fatto. E abbiamo anche fatto una mini-riforma fiscale che sposta il peso da chi ha meno a chi ha di più, riducendo l'Irpef a quasi tutti e l'Imu sulle prima case. Tra l'altro, a me sembra una cosa di sinistra. Ma spero nessuno se la prenderà se piace anche a qualcuno che non è di sinistra.

E vabbé, per gli amanti del genere, qualora ce ne fosse qualcuno, qui di seguito quello che ho detto ieri al Consiglio Comunale:


Quando discutevamo del Bilancio Consuntivo 2011, abbiamo detto che quest’anno il riequilibrio di fine settembre sarebbe stato, di fatto, un nuovo bilancio di previsione. L’incertezza del quadro normativo, insieme alla sua rapida e talvolta contraddittoria evoluzione, ha prodotto una situazione molto complessa e delicata, trasformando i bilanci locali in una sorta di continuo work in progress. Il fatto che, con successivi spostamenti, il termine ultimo per l’approvazione dei bilanci dei comuni sia slittato addirittura al 31 Ottobre è la conferma più evidente di questa situazione di incertezza. Nella quale ci siamo mossi e dobbiamo muoverci cercando di mettere qualche punto fermo.

Il primo punto fermo che abbiamo voluto mettere, ormai diversi mesi fa, è stato l’approvazione del bilancio di previsione. Siamo convinti, infatti, che l’attività di un comune non possa essere affidata ad un prolungato e incerto “esercizio provvisorio” in assenza di un chiaro indirizzo finanziario annuale. Troppi sarebbero i pericoli. Da un lato, il rischio di bloccare l’attività amministrativa, blindandola in una gestione corrente priva di prospettive. Dall’altro, quello non meno insidioso di far correre la macchina senza aver prima deciso la strada da percorrere, con la concreta possibilità di ritrovarci senza benzina a metà del percorso. O peggio, avendo utilizzato il carburante per spese e iniziative non prioritarie, trovandoci senza quando le priorità vere effettivamente si presentino.

Come abbiamo visto già nelle settimane che hanno preceduto l’approvazione del bilancio di previsione, la decisione di non seguire il piano inclinato dei successivi rinvii, ma di scegliere subito, ci ha esposto al rischio di dover qualche volta ritornare sulle nostre scelte. Un rischio tuttavia calcolato, se non altro perché i margini di manovra finanziari e la buona condizione dei nostri conti ci hanno consentito di decidere una linea di politica finanziaria che resta valida anche in presenza di evoluzioni normative negative per il nostro bilancio. Quando abbiamo approvato il bilancio di previsione, abbiamo dichiarato una certa preoccupazione per gli effetti finanziari che avrebbe potuto avere la dinamica tra il gettito IMU effettivo e stimato ed i correlati ulteriori tagli ai trasferimenti statali. Il bilancio di esercizio era costruito sulla base delle informazioni disponibili in quel momento e delle più autorevoli interpretazioni disponibili per le leggi in vigore. Sappiamo però che, se le leggi cambiano spesso, ancor maggiore è il ritmo al quale si succedono – spesso contraddicendosi – le interpretazioni che delle norme vengono date. Un fenomeno, questo delle leggi “da interpretare” tipicamente italiano e che credo incida – molto più di altri, più famosi e discussi problemi – sulla nostra complessiva capacità di attirare investimenti dall’estero e di essere credibili come sistema-Paese. Questo fenomeno incide in misura significativa, come vedremo tra poco, anche sul nostro bilancio e sugli effetti che esso avrà nelle tasche dei cittadini novesi.

Nel mese di Luglio abbiamo evidenziato il probabile punto di caduta rispetto alla dinamica del gettito atteso da IMU e al connesso taglio dei trasferimenti statali. Come abbiamo visto, la capacità previsionale dei nostri uffici si è rivelata ottima e superiore, come pensavamo, a quella dello Stato. Sulla base del gettito effettivo della prima rata IMU, prevedevamo l’assestarsi dei trasferimenti statali ad un livello – circa tre milioni di euro – che è poi stato confermato nelle settimane successive, con le comunicazioni ufficiali del Ministero. Come detto in quella sede, il risultato complessivo ci consegna un ammanco di risorse nell’ordine dei 400-500.000 euro per il 2012, ridotto rispetto al taglio totale dei trasferimenti di oltre un milione, grazie all’aggiustamento che abbiamo apportato alla manovra sull’addizionale Irpef quando abbiamo approvato il bilancio di previsione.

Nelle stesse settimane, la cosiddetta “spending review” ha aggiunto un elemento ulteriore di complessità e di preoccupazione per la quadratura dei nostri conti. Il taglio contenuto nella manovra vale infatti poco meno di 300.000 euro nel 2012 e raggiungerà il milione di euro il prossimo anno. Ci troviamo dunque nella condizione di dover rivedere le nostre previsioni, tenendo conto di minori risorse per diverse centinaia di migliaia di euro. L’ipotesi di affrontare il problema sul lato della spesa appare sostanzialmente impraticabile, soprattutto se si immagini di perseguirla in corso d’anno, quando la maggior parte delle spese obbligatorie o discrezionali è già stata impegnata. Su questa ipotesi e sulla sua praticabilità in un’ottica di medio periodo tornerò comunque tra poco. Per ora è utile invece concentrare la nostra attenzione sulle variabili effettivamente a disposizione e sul tentativo – che io ritengo riuscito, ma che spetta al Consiglio Comunale valutare – di confermare, pur in un quadro tanto profondamente mutato, gli indirizzi politici di fondo sui quali abbiamo costruito le scelte di bilancio all’inizio di quest’anno.

L’elemento cardine di politica fiscale che sostiene l’impalcatura del bilancio 2012 è rappresentato dalla ricerca di un riequilibrio della pressione fiscale locale a favore dei redditi da lavoro e delle fasce più deboli e intermedie della popolazione. Sulla base del presupposto che restituire capacità di spesa alle famiglie più povere e al ceto medio sia l’unica strada percorribile per rilanciare i consumi e sostenere l’economia locale, abbiamo impostato la nostra manovra fiscale utilizzando tutte le leve a nostra disposizione. Abbiamo dunque deciso di ridurre in misura significativa l’addizionale Irpef per i redditi medi e bassi, alzandola solo per quelli più alti. Abbiamo introdotto una serie di agevolazioni sull’IMU, a partire da un’aliquota agevolata sull’abitazione principale. Abbiamo finanziato questi sgravi fiscali e il gap determinato dal taglio dei trasferimenti con un’imposizione più elevata sugli immobili diversi dalle abitazioni principali. Insomma, una sorta di “patrimoniale” il cui gettito viene destinato a ridurre le tasse di chi percepisce un reddito da lavoro o da pensione e di chi possiede la sola casa in cui abita con la propria famiglia.

L’impostazione che, direi naturalmente nel mutato quadro normativo e finanziario, deriva dagli indirizzi politici contenuti nel bilancio di previsione e informa questa manovra di riequilibrio, è dunque innanzi tutto quella di mantenere – per quanto possibile – gli sgravi e le agevolazioni fiscali introdotti a inizio anno. Mantenere quindi il profilo di equità e di riequilibrio del prelievo sull’addizionale Irpef e confermare l’aliquota agevolata per l’IMU prima casa, insieme alle altre riduzioni già decise. La spiacevole, ma inevitabile conseguenza è la necessità di un ulteriore, per quanto limitato aggravio del prelievo sugli altri patrimoni immobiliari. Con l’aliquota al 10,6 per mille – un punto in più rispetto a quanto previsto nella prima versione del bilancio – possiamo far fronte alle novità di questi mesi, senza incidere negativamente sul resto della manovra e garantendo il mantenimento degli equilibri di bilancio.

Non dipende invece da noi – ma da un’interpretazione ministeriale della norma, che noi riteniamo piuttosto discutibile, oltre che lesiva della nostra autonomia finanziaria – l’aggiustamento che dobbiamo apportare alla manovra sull’addizionale Irpef. Come ricorderete, sulla scorta di quanto recentemente consentito dalla legge, abbiamo deciso di sostituire l’aliquota addizionale unica del 5 per mille, con un sistema per fasce di reddito. In questo modo, abbiamo potuto introdurre una fascia di esenzione totale, prevedendo una contribuzione crescente in base al reddito complessivo dei singoli contribuenti. Così facendo, si opera un forte spostamento del carico fiscale dai redditi bassi e medi verso chi gode di un più elevato livello di introiti personali. Solo chi ha un reddito annuo lordo superiore ai 75.000 euro avrebbe pagato l’8 per mille su tutto il suo reddito. E vale la pena ricordare qui che molti, moltissimi comuni hanno semplicemente applicato da quest’anno l’aliquota dell’8 per mille a tutti i redditi. Quello, l’aumento indifferenziato e incondizionato del prelievo sino ai massimi consentiti dalla legge è il mainstream, l’andazzo generale e più in voga. Su di esso si sono tarati i commenti degli analisti e – mi pare di capire – anche la prassi interpretativa del Ministero. Evidentemente, scelte e comportamenti non allineati a questo andazzo contengono elementi di eccentricità eccessivi per la tolleranza e l’apertura mentale delle burocrazie ministeriali. Ne deriva infatti che il Ministero ci ha intimato di rivedere la nostra manovra, decidendo che l’applicazione di aliquote differenziate per fasce di reddito non è legittima e che tale applicazione deve essere invece fatta per scaglioni di reddito. Chi vi parla non ha le competenze giuridiche necessarie per valutare la correttezza dell’interpretazione ministeriale. Per dirla tutta, non ne ho nemmeno molta voglia. Mi limito ad osservare che – mentre molti comuni e province faticano a far quadrare i conti, anche aumentando al massimo tutte le tasse e imposte locali – la pressione della burocrazia centrale si concentra su di noi, con argomentazioni cavillose di cui non si comprende l’utilità, soprattutto se si consideri che l’interpretazione in un senso o nell’altro della norma sull’addizionale Irpef non ha alcun effetto sul bilancio dello Stato. Ma solo, per tramite del bilancio comunale, sulle tasche dei cittadini. Il risultato – e questo è ciò che mi preme – sarà uno spostamento del peso, a parità di gettito, dai redditi più alti a quelli più bassi. Siamo costretti a togliere ai poveri per dare ai ricchi. Anche se – con il sistema di aliquote per scaglioni che proponiamo oggi al Consiglio Comunale – riusciamo comunque a mantenere un importante profilo di redistribuzione del carico fiscale rispetto agli anni precedenti. Avremmo voluto –  e potuto – fare di più e di meglio. Ci viene impedito. Forse avremmo dovuto fare come gli altri: aumentare indistintamente il prelievo, affidando magari ad una maggiore spesa pubblica il compito di ridistribuire tra chi ha meno e chi ha di più: quello che in Italia si fa da molti anni, con risultati che preferirei non commentare. Comunque, a proposito delle modalità di applicazione dell’addizionale Irpef comunale, sottoponiamo all’attenzione del Consiglio Comunale un documento di indirizzo politico, che proponiamo di trasmettere al Ministero e ai parlamentari della zona, con l’obiettivo di ottenere un’interpretazione della norma – ovvero, se necessario, una sua modifica – che ci consenta di ripristinare la manovra inizialmente prevista a partire dal 2013.

Il resto della manovra di riequilibrio si fonda sull’ormai consolidata prassi di contenere la spesa, evitando di spostare nel futuro i problemi. Semmai, laddove possibile, cercando di anticiparli e di risolverli prima, anziché dopo. Si tratta di una novità assoluta, che abbiamo iniziato ad introdurre lo scorso anno e che trova un ulteriore sviluppo proprio nelle scelte contenute in questo riequilibrio.

Partiamo intanto dalle maggiori risorse disponibili. Esse derivano, per 470.000 euro, da una restituzione di contributi ai comuni da parte del Consorzio dei Servizi alla Persona. Non si tratta di un taglio alla spesa sociale, né tagli sono stati le riduzioni dei contributi annuali inserite negli ultimi due bilanci di previsione. Semmai, la maggiore entrata che registriamo oggi, derivante da un avanzo importante emerso nel bilancio del consorzio, è la più chiara ed emblematica dimostrazione del fatto che – come ho più volte ripetuto – non stavamo tagliando la spesa sociale, ma ottimizzando l’allocazione delle risorse disponibili all’interno del Gruppo Comune in un periodo nel quale le difficoltà finanziarie generali lo imponevano. Questo stock di risorse aggiuntive una tantum può essere destinato ad alcune azioni altrettanto straordinarie e non ripetibili, capaci di dare solidità ai nostri conti, affrontare questioni aperte, alleggerire la pressione finanziaria che grava – in conseguenza dei nuovi tagli della “spending review” – sui prossimi esercizi. Quindi, come dicevo poco fa: anticipare i problemi, affrontarli per tempo, non rinviare, creare condizioni che rendano più agevole la programmazione finanziaria per i prossimi anni. Qualcosa di nuovo. Qualcosa di giusto.

Una parte delle risorse disponibili sarà destinata alla copertura della tranche 2012 di copertura del disavanzo di amministrazione 2011, derivante dalla straordinaria azione di ripulitura del bilancio effettuata in sede di consuntivo. Una parte viene destinata a coprire i prevedibili minori introiti dell’attività di recupero dell’evasione fiscale. Questa riduzione è strettamente legata a fattori di natura straordinaria intervenuti nel corso di quest’anno, che hanno impegnato l’Ufficio Tributi su altri, delicati, versanti. L’introduzione dell’IMU, con tutti gli elementi di incertezza e di confusione che l’hanno accompagnata, l’avvio della riscossione diretta dei tributi locali, la nuova tassa rifiuti che entrerà in vigore dal 2013, sono attività che hanno impegnato in misura significativa il tempo e le energie dell’ufficio, con riflessi negativi sulla possibilità di dedicarsi alle attività di recupero. Infine, portiamo a conclusione il lavoro di riallineamento del sistema di coperture assicurative alle nuove esigenze dell’ente, con una spesa aggiuntiva di circa 100.000 euro.

 Con una seconda quota di risorse disponibili, portiamo a conclusione la partita degli interest rate swap sui nostri mutui a tasso fisso. Questo tema, che altrove è stato oggetto anche di clamorose vicende giudiziarie, è da tempo alla nostra attenzione ed è stato più volte sollevato, con comprensibile preoccupazione, da diversi consiglieri comunali. Come noto, ormai da alcuni esercizi stiamo accantonando le risorse necessarie a rimborsare le quote di capitale anticipate nei primi anni di vita dell’operazione, oltre a fondi utili a coprire il rischio – peraltro limitato dalle caratteristiche tecniche del contratto – derivante da un possibile andamento negativo dei tassi di interesse di mercato. Come abbiamo detto più volte, quelle risorse accantonate possono essere utilizzate anche – laddove se ne presenti l’opportunità e la convenienza – per finanziare una chiusura anticipata del contratto in essere, azzerando ad un tempo i rischi per il futuro e gli oneri da rimborso del capitale. Questa occasione pare presentarsi proprio in queste settimane, poiché il valore di mercato del contratto ha raggiunto un livello minimo. Quello che si propone è dunque di anticipare al 2012 la quota di accantonamento prevista per il 2013, costituendo subito lo stock di risorse necessario a finanziare la chiusura anticipata del contratto. Questa scelta, oltre che convenirci, apre prospettive interessanti per il prossimo anno, che sarà sgravato da un onere di circa 250.000 euro. Risorse che potranno essere utilizzate per contenere gli effetti potenzialmente gravi dei crescenti tagli decisi con la “spending review”.

A questo proposito, dicevamo poco fa che nel 2013 dovremo affrontare un problema che – a parità di altre condizioni – varrà intorno ai 700.000 euro. Questo taglio potrà essere coperto in parte – diciamo intorno ai 200-250.000 euro – con le maggiori entrate ripetitive garantite dalla manovra sull’IMU che oggi proponiamo al Consiglio Comunale. La chiusura anticipata del contratto di interest rate swap garantirà la già evidenziata minore spesa. Resteranno da coprire altri 200-250.000 euro:  su questo dovremo certamente tornare in vista del bilancio di previsione 2013. Dobbiamo tuttavia fare, sin da ora, una riflessione più generale che parta dalla storia più recente, dalle nostre scelte e dalle prospettive finanziarie dei prossimi anni. Veniamo da un periodo nel quale le risorse disponibili per il bilancio annuale si sono ridotte – per decisioni non nostre, anche se probabilmente obbligate dal contesto internazionale – al ritmo di un milione di euro all’anno. Noi abbiamo lavorato assiduamente al contenimento della spesa corrente, riuscendo a realizzare un risanamento dei conti del Comune che ha richiesto uno sforzo ulteriore rispetto a quanto già imposto dai tagli. Abbiamo sostanzialmente azzerato le spese discrezionali, abbiamo riorganizzato i rapporti finanziari all’interno del Gruppo Comune, abbiamo ridotto l’indebitamento dell’ente, abbiamo abbandonato milioni di crediti inesigibili, con soluzioni molto più radicali ed efficaci rispetto a quelle che oggi la legge impone – mi riferisco alla parziale svalutazione dei crediti più vecchi di cinque anni, che noi abbiamo invece cancellato del tutto dal bilancio – e che pare stiano mettendo in allarme molti nostri colleghi amministratori. Abbiamo detto e ripetuto che la politica del rigore e del risparmio è e deve restare il nostro faro per i prossimi anni, perché alle vacche magre non seguirà un nuovo periodo di vacche grasse: il mondo è cambiato e non tornerà mai più quello di prima. È meglio farsene una ragione, piuttosto che recriminare su “tempi andati” la cui presunta bellezza è peraltro alla base delle difficoltà dell’oggi e del domani.

Chiarito e ribadito tutto questo, va pure ricordato come l’ipotesi di poter risolvere problemi finanziari da milioni di euro, nel breve periodo, sul lato della spesa incontri oggi ostacoli sostanzialmente insormontabili. È bene essere chiari su questo punto: non c’è spazio, nel nostro bilancio, per tagli strutturali da milioni di euro, a meno di non voler intervenire sul personale dipendente, riducendolo. Ma questa eventualità non viene presa in considerazione neppure negli enti locali che sono al dissesto o rischiano di arrivarci rapidamente: a prescindere da ogni considerazione di carattere sociale, se la prendessimo anche solo in considerazione noi – col bilancio che abbiamo – sarebbe una scelta tanto incomprensibile quanto poco credibile. Dovremo quindi ingegnarci per individuare altre azioni – credibili e concrete – per contenere la spesa totale. Ad una almeno ho già fatto cenno. Il resto sarà oggetto centrale della discussione sul bilancio di previsione per il 2013.


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