venerdì 30 settembre 2011

Radicali

Ci mancava solo prendersela coi Radicali. No, dico, come se non ne avessimo già abbastanza di problemi. E come se fosse una mossa intelligente presentare la mozione di sfiducia individuale – di dubbia costituzionalità - a un ministro. Offrendo a Berlusconi un’occasione in più per dimostrare che il suo Governo ha la fiducia del Parlamento.
C’è, nel modo e nei contenuti della polemica contro i parlamentari radicali nel gruppo Pd, un doppio livello di ipocrisia. Che mi fa un po’ impressione. I Radicali si sono astenuti nel voto di sfiducia al Ministro Romano e hanno spiegato chiaramente il perché. Si può non condividere, ma non è lecito far finta di non capire, soprattutto sapendo di cosa si sta parlando: le carceri, le tragedie che vi si consumano ogni giorno, le condizioni di vita disumane al loro interno.
I Radicali – forti di un appello del Capo dello Stato sull’argomento – hanno chiesto e ottenuto un dibattito al Parlamento sulla situazione delle carceri italiane. Propongono l’amnistia, per alleggerire la situazione. Si può essere d’accordo o meno. Si possono avere opinioni diverse su come affrontare l’emergenza carceri. Ma è obbligatorio, per qualunque forza politica, averne una, che sia credibile e confrontata con la realtà. Esistono carceri – dice la commissione che le ha visitate – dove sei uomini vivono in otto metri quadrati e possono fare la doccia una volta alla settimana: sei uomini adulti, che non si lavano da sei giorni, chiusi in una stanza di otto metri quadrati. Poi ci sono i tossicodipendenti, una fetta importante dei detenuti italiani, e i malati. E ci sono quelli che non ce la fanno e si ammazzano. Di fronte a una situazione del genere, uno Stato serio, o costruisce le carceri che mancano nel giro di qualche mese o li fa uscire. C'è poco da discutere.
“Dalla galera non si esce dottori – recitava un indimenticabile Gian Maria Volontè – al massimo si esce rapinatori di banche!”. Dopo quarant’anni siamo sempre lì. E la Costituzione, con la funzione di recupero sociale della pena, non entra nei luoghi di detenzione. Ma in Parlamento, la discussione promossa dai Radicali è stata snobbata: pochi presenti e nessuna proposta alternativa ad un’amnistia bocciata da tutti.
I Radicali, che non sono teneri ma nemmeno “indipendenti di sinistra”, se la sono presa a male e hanno colto un’occasione forte, sul piano mediatico, per farlo sapere. Anche perché ormai nessuno se li fila più, nemmeno quando fanno lo sciopero della fame e della sete.
Fare finta di non sapere il perché e il per come di questa presa di posizione è il primo livello di ipocrisia nel discorso politico di questi giorni. Ma ce n’è un secondo. Oh dico, non vorrete mica raccontarmi che il problema sia davvero la battaglia sull’amnistia e che l’atteggiamento del Pd nasca dall’esigenza di non litigare coi giustizialisti dell’Idv? Cerchiamo di non essere ridicoli.
A muovere guerra contro l’anomalia radicale in seno al Pd sono i “cattolici”, ma non solo loro. In nome di un’alleanza col “centro” che impone di mettere all'angolo tutte le posizioni “eccentriche”, specie se riguardano le libertà e i diritti civili. La questione – come ha magistralmente dimostrato D’Alema in una recente intervista – viene trattata col piglio del burocrate di partito di fronte ai “movimenti”. Un riflesso da anni ’70 che distingue tra le cose davvero importanti, di cui deve occuparsi chi governa il Paese, e quelle che fanno colore, ma scaldano gli animi di qualche minoranza. Il matrimonio per i gay, il libero accesso alla fecondazione assistita (senza viaggi della speranza) e tante altre questioni rientrano tra le seconde. Punto.
Oggi a fare le spese di questo strategismo democratico sono i Radicali. Presto saranno altri, a partire da chi si batte perché l’Italia non rimanga indietro rispetto all’Europa sul tema dei diritti civili.
Si preparano tempi duri. E a me ancora rimproverano di fare una battaglia generazionale: non ho rispetto per gli anziani. Anche se poi mi trovo a difendere un ottantenne come Marco Pannella dalla ferocia di burocrati sessantenni.

P.S.: lo chiedo con deferenza, per favore nessuno mi venga a spiegare che l’alleanza coi Radicali è stato l’ennesimo errore di Walter Veltroni. Non è stato un errore, ne ha fatti altri. Ecco, astenersi perditempo.

giovedì 29 settembre 2011

In coda alla Slunga

Forse ho trovato casa. Forse e non sarebbe male, in meno di un mese. Dunque, incrociate le dita per me e auguratemi un bel contratto firmato come regalo di compleanno.

A fronte di questo indubbio successo, ieri ne ho fatto una che neanche il Ragazzo di Campagna. Ma insomma, chi di voi sa che alla Slunga di viale Rubattino ci sono casse dove devi arrivare col conto giá fatto, con un lettore di codici che ti porti in giro? E che alla cassa veloce, se son più di dieci pezzi, anche uno solo in più, ti cacciano e poche storie? Vabbé, ho cambiato cassa due volte. In compenso, finora non mi sono mai perso. Evvai! E viva l'Iphone.

Ci sono due notizie questa settimana che riguardano le "dimissioni". Date e non date. Non parlo di Berlusconi, che è inchiostro sprecato, per quanto virtuale.

Non si è dimesso Tremonti, come vogliono molti dei suoi. Ma non solo loro. Non si è dimesso nemmeno dopo la figura da "coniglio" (cit.) rimediata il giorno del voto su Milanese. È andato al G20, invece che alla Camera. E ha discusso di quelle robe che il G20 ha poi deciso, evitandoci un'altra settimana di crolli in borsa. Ecco, ho pensato che fin quando non si dimette Berlusconi, è tutto di guadagnato se non lo fa nemmeno Tremonti. E forse dovremmo dirlo.

Invece, le dimissioni le ha date Vignali, sindaco di Parma, travolto dalla tragedia dei conti del suo comune e da qualche inchiesta per corruzione che coinvolge assessori e dirigenti. Dimettendosi, rende un ultimo servizio alla sua città: il dissesto finanziario - con tutte le sue conseguenze, fiscali e non - potrà dichiararlo il commissario prefettizio. Evitando ai politici, quelli che ci sono e quelli che verranno, l'imbarazzo di farlo. E la tentazione di non farlo.

Pensavo che, in fin dei conti, tutte le accuse, che sono accuse e non sentenze e esiste la presunzione di innocenza... Ecco, tutte le accuse di corruzione che volete non ne valgono una per 'ndrangheta, anche se rivolta ad una ruota qualunque del carro. A un qualunque consigliere comunale, per dire. Se poi pure i conti sono a pallino, forse... Forse qualche mese di commissario, per mettere un paio di punti fermi, potrebbe far bene anche ad altre città. Anche per togliere dall'imbarazzo o dalla tentazione... Vabbé, ma poi io non sono mica di Alessandria. E nemmeno insegno all'università. Meglio che stia zitto.

A proposito di conti, qualche soddisfazione ce la siam presa, noi del MarMo... Che, per dovuta chiarezza, sta per Marubbi&Moro (Roberto). E non ha niente a che spartire col concetto di "marmoreo" di cui tratta diffusamente la mia autrice preferita nella prestigiosa opera. In soldoni - meglio, in soldini, visti i tempi - dopo nove mesi dall'inizio dell'anno, i conti del Comune di Novi tornano. E non è poco. Speriamo di continuare così, che ce n'è tanto bisogno.

lunedì 19 settembre 2011

Il Governo Ataturk

Ieri ho letto le opinioni di un “giovane turco”. Uno di quelli che stanno nella segreteria nazionale del Pd e che da un anno sostengono di fare la rivoluzione. Da quello che dicono e non dicono, sembra vogliano farla contro Walter Veltroni. Che non è proprio l’Impero Ottomano. Ma si sa, in fondo anche quello era bollito da un pezzo quando i seguaci di Kemal lo tirarono giù, per poi prendersela con gli Armeni.
La fondamentale intervista mi è arrivata via mail. Ufficialmente, dal Pd di zona di Novi Ligure. Tra le molte imprescindibili prese di posizione delle ultime settimane, questa deve avere qualcosa di speciale per essere stata scelta e diffusa con tanta ufficialità. D’altronde, parla un membro della segreteria nazionale e titola sul “Governo Bersani”.
Sul piano economico il ragionamento è lo stesso da tempo: basta cedimenti al pensiero unico liberista. Torniamo a fare la sinistra, che a fare i moderati ci penseranno altri. Sembrano Mussi, ma stavolta c’è qualcosa di più. E sta proprio nell’evocazione del futuro “Governo Bersani”.
Se mai ce ne sarà uno, ovvero se vinceremo le elezioni quando ci saranno, essendoci alleati con l’Udc, che avrà accettato la premiership proprio del segretario Pd, ma non con l’Idv, che nel frattempo sarà sparita dalla scena politica. Ecco, se succederanno tutte queste cose altamente probabili, il “Governo Bersani” dovrà avere dei nuovi ministri. Non quelli compromessi con le politiche neoliberiste degli scorsi anni.
Qui i casi sono due e non saprei dire quale sia più inquietante.
Può essere che stiano mettendo le mani avanti. Forse qualcuno pensa davvero di tornare a Palazzo Chigi e rimettere in pista i ministri dell’ultimo Governo Prodi? C’è poco da ridere: i “giovani turchi” stanno a Roma e sono bene informati. Se parlano, un motivo ci sarà.
Oppure, può darsi che si stiano candidando. E ce ne sono tutti gli indizi, compreso il tono di sufficienza che riservano a gente come Matteo Renzi: Caro Bersani, noi siamo come i nostri padri nobili, quelli che si “iscrissero giovanissimi alla direzione nazionale del Pci”. Non rottamiamo nessuno. E se ci porti al governo, noi non faremo casino.
Si potrebbe argomentare ancora a lungo, su quanto l’Italia abbia bisogno di un programma economico da old style socialdemocrats. E su quanto profumi di “Gioiosa macchina da guerra” questa idea che, tolto di mezzo Berlusconi, la strada sarà spianata per il “Governo Bersani”.  Ma mi pare ce ne sia abbastanza.

venerdì 16 settembre 2011

Scusate il ritardo

Scusate il ritardo. Non ho avuto molto tempo, tra la ricerca di un posto dove vivere e qualche viaggio avanti e indietro. Fai un bel po’ di tangenziale e tutta la Milano-Serravalle e ti chiedi se sei scemo tu, che il massimo della manovra o dei giochetti su quell’autostrada è fermarti per pagare il pedaggio. Vabbé, meglio lasciar perdere.
Anche perché, parli con chiunque e capisci una cosa sola: la finanziaria fa schifo a tutti. Ed è una tragedia.
Che non piacesse a nessuno c'era da aspettarselo. Se devi  "trovare" 40 miliardi e qualcosa  è difficile che la gente, poi, sia contenta. E poi siamo in Italia, dove non è certo facile accontentare la “gente”. Ma c'è qualcosa di più: nessuno ci crede, nessuno si fida. Molti pensano che non risolverà il problema. E questo dice qualcosa sull'opinione che i cittadini hanno, ormai, della politica.
Però la manovra è anche una tragedia. Per quello che c'è, ma soprattutto per ciò che manca. Diciamo una cosa semplice: se aumenti le tasse, deprimi la crescita, anche se riduci il deficit. Ma ridurre il deficit o anche azzerarlo non fa diminuire il debito pubblico. E se diminuisce il Pil, cioè la crescita - a parte le altre implicazioni non proprio entusiasmanti - aumenta il rapporto tra debito e Pil: esattamente ciò che ci tira addosso la speculazione.
Questo circolo vizioso funziona qualunque tassa aumenti. Dovresti invece diminuire la spesa. E qui vengono i problemi, perché il partito della spesa ha le iscrizioni sempre aperte. Ed è del tutto bipartisan.
In effetti, nonostante gli sforzi di alcuni a partire dal mio amico Enrico Morando con la sua battaglia in parte vinta sulla spending review, la discussione di questi giorni si è concentrata su quali tasse aumentare. Non è questione da poco, specie se aumentano l'Iva invece di tassare i mega patrimoni di chi non ha mai pagato le tasse. Non è questione da poco, ma non basta. Soprattutto se la situazione è tanto tragica.
Tagliare la spesa e liberare l'economia. Sono questioni sulle quali si incrociano i due principali problemi della politica italiana: rimettere in ordine i conti senza ammazzare l'economia e recuperare un po' di credibilità agli occhi dei cittadini.
Perché quando si parla - davvero - di risparmiare e di fare le liberalizzazioni, si tocca un nervo scoperto. Che fa male a chi deve rinunciare a qualcosa, ma prima ancora a chi non sta nell'elenco dei privilegiati. A chi da una pubblica amministrazione grande, grossa e inefficiente non ha nulla da guadagnare.
Lo dico da un pezzo: conta sino a un certo punto quanto si spenda per la casta: i vitalizi, gli stipendi d’oro, i privilegi. Questo rende meno credibile, talvolta odiosa, la politica. Ma ciò che è più grave, questa situazione produce e mantiene in vita un sistema inefficiente, che spreca molto di più di quanto non guadagni chi lo dirige. E blocca lo sviluppo.
Ho letto un’analisi sulla miriade di aziende pubbliche locali. Che al Sud si distinguono per spese di personale spropositate. E al Nord sono invece capaci di moltiplicare le poltrone e i conseguenti gettoni. E ho letto i numeri di un sistema pensionistico che - semplicemente - non si regge in piedi. Ma nessuno lo dice. Si potrebbe continuare l'elenco. Una teoria di disgrazie e mancati rimedi che vale per tutto. E per tutti. Bisogna piantarla lì. Spendere meno e dare al mercato - non quello cattivo degli speculatori, ma quello buono di quei matti che ancora provano a produrre qualcosa in Italia - un po' di respiro.
Sarà capace il Pd a fare una proposta del genere? E soprattutto, sarà capace di farla vivere nelle opinioni e nei comportamenti di tutto il suo gruppo dirigente, a livello nazionale come locale? Guardando come viene trattato l’argomento, ho i miei forti dubbi. Tutto va bene e tutto fa brodo per criticare la manovra. E questo è fin comprensibile. Ma il faro è e resta sempre lo stesso: la spesa non va ridotta. Si tratti di comuni, di province, di pensioni, di ospedali, di tribunali, di società pubbliche o di qualunque altra cosa. La spesa non va ridotta. L’accusa di tagliare per “fare cassa” resta la critica più ripetuta e lapidaria che venga mossa, non solo a questa manovra, ma a qualunque proposta di riduzione della spesa pubblica.
Penati o non Penati, se non affrontiamo questo problema, arriveranno davvero i poteri forti. Diranno di avere la ricetta pronta per cambiare l’Italia e spazzeranno via tutto, sia il cattivo che il buono della politica e dei partiti.

domenica 4 settembre 2011

Ragazzo di Campagna

Mi stupisco a vedere gente che ti lava la macchina nel parcheggio, mentre fai spesa. E pizzerie, con specialità paella, gestite da cinesi. Altro che barberie e negozietti. Com'è grande la città... Un po' mi sento Pozzetto nel Ragazzo di Campagna. E speriamo che chi dico io non mi chiuda mai su qualche terrazzo, che intanto le piante non so curarle. E che poi piove.

Tornato al paese, sono andato a dare un'occhiata alla festa democratica provinciale. Piccola, ma sempre bella e ci si mangia bene. Guardate che non è poco. Io li conosco da qualche tempo quelli che ci lavorano. Se c'è ancora qualcosa di "diverso" in questo Pd, sono proprio i militanti. Certo, è una forza che può servire anche alla conservazione, specie se ti impegni molto a usarla per quello. Ma è gente che vive nel mondo. E mi paiono un po' spaesati, come lo sono io.

E ti chiedono perché il Partito fa tante storie per lo sciopero della Cgil. E perché tutti parlano - solo - di province e comuni. E perché questa legge elettorale che fa schifo non proviamo a cambiarla col referendum.

E in fin dei conti, nessuno te lo dice, ma molti si domandano se non siamo anche noi uguali agli altri. Mi ricordo che ero un ragazzino e partecipavo a una riunione alle Frattocchie il giorno che venne arrestato Primo Greganti. C'era un po' di sconcerto. Il giorno dopo, Achille Occhetto ci spiegò, balbettando un poco, che noi eravamo diversi. Ebbe ragione. Sarà cambiato qualcosa, da allora? Vedremo.

Comunque, mi dicono che l'altra sera in molti firmavano per il referendum anti-porcellum. Non per la class action contro i giornalisti che parlano male del Pd. Ecco, due modi diversi per affrontare lo stesso problema. Quello di un partito che molti vorrebbero "diverso" per le proposte che fa. E per un modo credibile di proporsi come alternativa.

Cambiare la legge elettorale, abolire ogni privilegio di casta, semplificare davvero la macchina pubblica. Proporre quello che gli altri agitano per propaganda. E farlo portandosi dietro la forza di questo grande Partito. È così difficile farlo? È cedere all'antipolitica?

Facciamo che è doloroso, un cambiamento che tocca interessi consolidati. Ma per favore, non spacciamo la conservazione dell'esistente per difesa della democrazia. I partiti, che sono fondamentali per la democrazia, si difendono cambiandoli, quando serve. Soprattutto quando non ci sono alternative, se non quella di chiudersi nel proprio fortino sperando che la bufera passi.

Francamente, temo che senza questo, il resto siano stupidaggini.

P.S.: ci sono tornato ieri alla festa. Un metalmeccanico aveva bisogno di una mano. Ho fatto i caffè, ma non è una notizia, per due ragioni. La prima è che lo faccio da 23 anni. La seconda è che altri lo fanno da più tempo, ma solo perché sono nati prima. Però non è questo il problema. E nemmeno la soluzione.

in viaggio con Manubrio