sabato 19 aprile 2014

Marubbi chi?

Me lo han mandato, il pezzo de La Stampa su Acos. Quello in cui chiedo perché a Novi non si possa discutere di privatizzare le società municipalizzate e scoppia uno scandalo. I tabu non si toccano. Nemmeno, per dire, il giorno che il mio presidente del consiglio dice che le municipalizzate - come Acos - dovranno passare da 8.000 a 1.000.
 
Mi è piaciuto l'amministratore delegato. Mauro (D'Ascenzi, non Moretti eh...) è "molto stupito": antica espressione del gergo post-comunista, che significa più o meno "Come ti permetti?".
Poi esprime due concetti.
Mi chiede perché non ho mai detto certe cose - precisamente: perché a Novi Ligure nessuno neppure discute di privatizzare le aziende comunali? Perché l'argomento è tabu? - negli ultimi cinque anni. Perché, caro Mauro, in questi anni ho fatto l'assessore in un'amministrazione che non aveva le privatizzazioni nel programma. E nella quale, per esempio, un utile di 9.000 euro era considerato indice di grande redditività per la farmacia comunale, motivo sufficiente per escludere a priori ogni ipotesi di vendita. 

In questi anni mi sono piuttosto dedicato - anche se non sempre i vertici delle aziende hanno gradito - a riportare scelte e decisioni nel posto dove si devono prendere: il consiglio comunale, dove risiede la volontà dei cittadini. Che sono i proprietari delle aziende comunali. Chissà se ci sono riuscito. So che questo protagonismo della politica - quella che rappresenta i cittadini, non quella che si fa in tre chiusi in qualche stanzino - ad alcuni non è piaciuto. Te compreso, Mauro. Pazienza. Sarà un vostro problema: le leggi e le indicazioni della Corte dei Conti guideranno le scelte dei prossimi amministratori. Se necessario, loro malgrado. 
Comunque, qualche indirizzo chiaro il consiglio comunale lo ha pure dato. Da ultimo, pochi mesi fa, quello che dice alle società partecipate di ridurre gli stipendi dei loro dirigenti (più alti, in qualche caso molto più alti, di quelli dei dirigenti del Comune). Acos ha fatto qualcosa, in proposito? Dovrebbe.
Mauro nota poi che a decidere saranno "i sindaci" e rileva come io non sia "candidato". Ora, che per esprimere un'opinione si debba essere candidati è piuttosto singolare. Specie se a dirlo, mentre esprime un'opinione, è chi non si candida da almeno trent'anni... E semmai il problema - anche per i candidati - è averne di opinioni. E di programmi.
Comunque, la questione è un'altra. Perché dire che decideranno "i sindaci" (leggi, se la matematica non è un'opinione: il sindaco; quello di Novi, che ha la maggioranza assoluta di Acos) è l'esatto contrario di quello che ho spiegato prima. Significa che la decisioni si prendono in tre, chiusi da qualche parte, che il consiglio comunale non conta nulla, che il sindaco può andare una volta all'anno in assemblea a dire come la pensa. Insomma, che basta avere il sindaco giusto... Non funziona così. Non dovrebbe funzionare così: la legge e la Corte dei Conti ci dicono che non funziona così. 

Malgrado tutto, dovrete fare i conti con questo e con le novità di ieri: da 8.000 a 1.000 partecipate comunali. Finalmente. Buon lavoro.

martedì 1 aprile 2014

Le idee sono di chi le condivide

Un bilancio tecnico, come quello che ci siamo impegnati a presentare al Consiglio Comunale in tempo utile prima della scadenza del mandato, è la cosa giusta da fare per consegnare alla prossima amministrazione un quadro ordinato e chiaro delle risorse disponibili, degli impieghi obbligatori, di quelle spese legate a contratti pluriennali che - pur non essendo obbligatorie in senso stretto - non possono essere riviste nel breve periodo. Un bilancio, dunque, in grado di sorreggere il normale funzionamento dell'Ente, in attesa che le scelte programmatiche della nuova amministrazione possano tradursi in maggiori o minori entrate, maggiori o minori spese. Un bilancio tecnico non contiene quindi scelte di natura politica, relative all'allocazione delle risorse tra impieghi differenti, se non quelle imposte o suggerite dalla più recente evoluzione normativa, che sarebbe segno di ignavia non voler introdurre già in questa fase, per gli effetti molto significativi che la loro mancata adozione avrebbe sulle tasche di alcune categorie di contribuenti. Analizzerò subito queste poche, ma significative scelte, per dedicare qualche attenzione ad aspetti più generali e di prospettiva: un tipo di discorso che ritengo sia, non solo consentito, ma addirittura doveroso mentre si discute dell'ultimo bilancio di previsione di questa amministrazione. Il recente decreto del Governo sulla Tasi ha in parte sanato gli effetti paradossali e negativi del nuovo tributo. La Tasi è - fuori da ogni discussione - l'IMU sulle abitazioni principali. Ne è purtroppo una versione peggiorata perché - a dispetto di un'aliquota apparentemente inferiore: dall’1 al 2,5 contro 4 - l'assenza di detrazioni produce un esborso complessivo superiore a quello dell'IMU e una distribuzione del carico fiscale più spostata verso gli immobili di minor valore. Il decreto ha dato la possibilità di aumentare le aliquote, utilizzando il maggior gettito esclusivamente per rimettere qualche detrazione. Le scelte che vadano in questa direzione non hanno e non possono quindi avere effetti, né positivi né negativi, sugli equilibri complessivi del bilancio. La cui bozza, infatti, è sostanzialmente quadrata da oltre un mese. L'ipotesi di agire sulle aliquote per gli immobili diversi dall'abitazione principale si scontra con ragioni di opportunità (una parte del carico andrebbe sugli eventuali inquilini) ed è comunque preclusa, almeno in questa prima fase, dalla mancanza di una base dati completa per la sua concreta applicazione. Quanto alle abitazioni principali, il nostro bilancio potrebbe quadrare con un’aliquota uguale per tutti al 2,3 per mille, che garantirebbe un gettito di poco inferiore ai 2 milioni. Portandola al 3,3 per mille, otteniamo un extra gettito sufficiente a garantire la creazione di una soglia di esenzione e di una detrazione fissa per tutti gli immobili destinati a prima casa. Quindi, per tutte le abitazioni principali con rendita catastale fino a 300 euro, la tassa non sarà dovuta. Mentre, per tutte le altre abitazioni principali, si applicherà una detrazione di 90 euro. In questo modo, si riequilibra il peso, spostandolo verso le abitazioni di maggior valore. Resta il fatto che, nostro malgrado, la tassazione sulla prima casa sarà per molte famiglie superiore a quella del 2012. Ovviamente, l'auspicio è che tale aumento sia compensato da riduzioni di imposte statali, finanziate con la riduzione dei trasferimenti dello Stato ai comuni. Va detto che ciò sta accadendo, almeno a favore dei lavoratori dipendenti. In ogni caso - e di questo parleremo tra poco - l'insieme di tasse, imposte e tariffe comunali è oggi un peso molto elevato, sia sulle famiglie che sulle imprese. Lo è soprattutto in quei comuni che, non avendo tenuto i conti in ordine, sono costretti ad usare al massimo ogni leva finanziaria. Lo è di meno laddove, come qui da noi, una gestione attenta e un'opera di profondo risanamento del bilancio, hanno consentito di ridurre la pressione fiscale complessiva. E tuttavia, il peso che grava su famiglie e imprese, persino a Novi, è oggi spesso difficile da sopportare. Questo vale per le tasse, ma anche per le tariffe dei servizi, che peraltro in questi anni non abbiamo mai aumentato. Questo ragionamento porta con sé una riflessione più generale sul concetto di "tariffa" e di "servizio a domanda individuale". In un afflato aziendalista spesso rivolto solo verso l'utenza, abbiamo assistito all'imporsi di una retorica della tariffa, che vorrebbe ricondurre il prezzo di ogni servizio pubblico al suo utilizzo da parte del singolo cittadino. In questo ambito noi possiamo farci vanto di quello che talvolta ci è stato rimproverato come un ritardo: non abbiamo mai trasformato la tassa rifiuti in tariffa, evitando tra l'altro quel giochino sul 10% di Iva che ha surrettiziamente aumentato le entrate per molti comuni e che - giustamente - è stato poi cassato dalla Suprema Corte. Oggi con l'introduzione della Tari, che ancora una volta si presenta sotto sembianze di tariffa, il nostro sforzo è inteso a ridurre al minimo, nei limiti del possibile, lo spostamento del carico verso le famiglie e, tra queste, verso le più numerose. Il “metodo normalizzato” per la determinazione delle aliquote impone la definizione di una quota variabile di prelievo, necessariamente collegata alla propensione delle diverse categorie di contribuenti a produrre rifiuti e – tra le famiglie – al numero di componenti il nucleo. Nella definizione delle tariffe, gli uffici hanno fatto ogni sforzo per ridurre gli effetti distorsivi della nuova impostazione, pur nel rispetto degli stringenti vincoli normativi. Un’applicazione completa dei nuovi parametri è peraltro tecnicamente impossibile, almeno nel brevissimo periodo, senza un significativo aggiornamento degli strumenti software disponibili, soprattutto con riguardo alle utenze non domestiche. Gli uffici ritengono comunque conforme al comma 652 della Legge di Stabilità definire tariffe al metro quadrato in base alla qualità e quantità di rifiuti mediamente prodotti dalle diverse categorie di contribuenti. Questo è quanto proponiamo oggi all’attenzione del Consiglio Comunale, con lo spostamento necessitato di una limitata quota di gettito verso le case di civile abitazione, che produrrà un aumento dell’aliquota al mq nell’ordine del 7%. Su questo punto e sul regolamento che questa sera approviamo sarà comunque opportuno ritorni la nuova amministrazione, sia per una più approfondita disamina della situazione e delle opzioni disponibili – anche alla luce di ulteriori approfondimenti, che saranno possibili dopo un necessario adeguamento degli strumenti software disponibili – sia per introdurre eventuali correttivi, basati su diverse opinioni o priorità che i nuovi amministratori vorranno indicare. La fissazione della prima scadenza di pagamento, sia per la Tasi che per la Tari, al 31 Agosto crea le condizioni temporali perché questo ulteriore approfondimento possa essere svolto dalla nuova amministrazione e conferma come questa amministrazione – a dispetto di qualche critica malevola e poco informata – stia facendo tutto il possibile per non mettere la prossima di fronte a fatti compiuti non modificabili. D’altra parte, le conseguenze di un eventuale ritardo nell’avviare e concludere queste necessarie verifiche da parte dei nuovi amministratori non potranno essere addebitate alla mancata – perché oggettivamente impossibilitata – definizione di un quadro completo e definitivo da parte nostra. Va anche sottolineato come un eventuale rinvio dell’approvazione del regolamento, teoricamente possibile fino al 30 Aprile prossimo, rischierebbe di far slittare tutto a dopo le elezioni, se dovesse intervenire nel frattempo un, peraltro probabile, ulteriore spostamento della scadenza di legge per l’approvazione dei bilanci di previsione. Negli ultimi cinque anni abbiamo percorso un tragitto difficile e accidentato, ma non privo di soddisfazioni e - ciò che più conta - di risultati. Quando cinque anni fa portammo all'attenzione del Consiglio Comunale un bilancio consuntivo in pesante disavanzo, qualcuno chiese le mie dimissioni. Era un atteggiamento comprensibile: se quel bilancio fosse stato, non una scelta di totale trasparenza e di completa disclosure della situazione in essere, quale in effetti era, ma l'esito non desiderato di circostanze obbligate, sarebbe stato più che legittimo pensare che quel disavanzo fosse solo la punta di un ben più grande iceberg. Dicemmo in quella sede che da lì iniziava un lavoro di risanamento dei conti del Comune, che avrebbe tenuto conto delle proposte e dei suggerimenti di tutti. Chiudemmo la stalla, quel giorno, prima che i buoi ne uscissero. Cinque anni fa, non mancarono critiche al sottoscritto e al Sindaco, per un approccio troppo prudente alla gestione finanziaria del Comune. Qualcuno ci spiegava che mentre noi ci dedicavamo all'austerity - persino in campagna elettorale! - altri comuni continuavano a spendere e spandere, senza farsi troppi problemi. Alla fine avrebbero avuto ragione loro, ci dicevano… Il tempo, come sempre galantuomo, si è incaricato di rimettere ognuno al proprio posto. Per il passato, per il presente e per il futuro. La scelta di imboccare la strada di un vero e profondo risanamento non era dettata solo da fattori contingenti, ma era l'esito di un'analisi di lunga prospettiva: il tempo della spesa allegra, di un malinteso primato della politica, che si disinteressa delle compatibilità finanziarie, era terminato definitivamente. Quel tempo - di cui in Italia tutti oggi paghiamo le conseguenze - era ed è strutturalmente concluso: non tornerà, né oggi né mai. Coltivarne il ricordo e prospettarne il ritorno, anche sotto mentite spoglie, significa prendere in giro i cittadini o - peggio - creare le condizioni per sfracellare il Comune contro il primo scoglio, durante la prima tempesta. Il risanamento è stato vero e strutturale, perché abbiamo aggredito le contraddizioni del nostro bilancio con determinazione e muovendoci - tutti insieme - nella stessa direzione. Abbiamo ridotto di due terzi i residui attivi e passivi, riconducendoli a un valore fisiologico. Abbiamo ridotto al minimo la spesa discrezionale, che aveva raggiunto livelli talvolta patologici e comunque del tutto incompatibili con un duraturo equilibrio del bilancio. Abbiamo ridotto il debito di oltre sei milioni di euro, diminuendo la spesa annuale per il rimborso e il pagamento degli interessi. Abbiamo agito sulle spese energetiche, anche con lungimiranti scelte di riduzione dei consumi e abbiamo diminuito progressivamente le spese di personale. Queste scelte, perseguite con determinazione, hanno reso possibile il risanamento dei conti, anche in un contesto normativo ballerino, permettendoci di contenere e ridurre la pressione fiscale sui cittadini. Le cose non succedono per caso e ogni scelta ha le sue conseguenze: per diminuire le tasse, bisogna ridurre la spesa; per aumentare la spesa, bisogna trovare le risorse. Non ci sono scorciatoie e questo vale per il passato come per il futuro. Il bilancio che presentiamo questa sera, così come quelli degli ultimi anni, è riassumibile in alcune semplici cifre. La loro analisi per grandi voci è un punto di partenza imprescindibile per discutere di cosa si può e cosa non si può fare, oggi e per il futuro, dato l'attuale livello della pressione fiscale locale. Chiarito che non esistono forzieri pieni di dobloni nascosti in qualche scantinato del Comune, il contenimento della spesa resta la via maestra per liberare risorse. Gli spazi di questa riduzione - sempre possibile - vanno ricercati in un'analisi precisa delle singole voci, distinguendo quelle comprimibili nel breve periodo - assai poche - da quelle che possono sempre essere ridotte ma, come minimo, in un orizzonte temporale di maggiore respiro. Sappiamo per nostra diretta e quotidiana esperienza che il volume degli "sprechi" e delle "spese discrezionali", dopo le sforbiciate che abbiamo dato in questi anni, è assai esiguo. I numeri del bilancio ci confermano questa circostanza, solo a volerli leggere con un minimo di attenzione. Il totale della spesa corrente raggiunge nel 2014 i 27 milioni di euro. Questi sono impiegati: 8 milioni per il personale 5 milioni per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti 3,9 milioni per partite di giro (in particolare il trasferimento al fondo statale di perequazione fiscale), per garanzie e fondi rischi 3,1 milioni per utenze, gestione calore, illuminazione pubblica 1,6 milioni per il funzionamento del Comune (imposte, tasse, assicurazioni, indennità, elezioni,…) 1,3 milioni per interessi e rimborso dei mutui 1,3 milioni per la mensa e i nidi (escluso il personale) 1,1 milioni per servizi sociali e scolastici 0,6 milioni sono spese finanziate da contributi esterni a destinazione vincolata 0,6 milioni per manutenzioni 0,3 milioni per la gestione degli impianti sportivi 0,2 milioni per il turismo 0,1 milioni per la neve 0,1 milioni per il canile Le consulenze sono praticamente a zero, le spese di rappresentanza valgono poche migliaia di euro, le spese discrezionali non esistono, se non tra quelle finanziate con contributi e sponsorizzazioni da soggetti terzi. Realtà che vengono spesso presentate come voraci assorbitrici di risorse valgono – in termini di costi effettivi – poche decine di migliaia di euro: il Museo dei Campionissimi non costa più di 100.000 euro all’anno, le indennità di tutti gli amministratori non superano i 145.000 euro, i contributi a soggetti terzi non coperti da finanziamenti esterni valgono poche migliaia di euro. Insomma, tutte cifre che, se anche venissero azzerate, potrebbero essere facilmente assorbite da una nevicata copiosa o da un qualunque altro, anche minimo, imprevisto. Tutto questo per dire, ribadire e sottolineare che la spending review è una pratica fondamentale, ma che – in questo Comune – è già stata praticata con determinazione. E che quindi, la strada dei tagli “facili” e indolori non esiste. Lasciando da parte quelli dolorosi, restano i tagli difficili, vale a dire quei risparmi che possono essere conseguiti seguendo con coerenza indicazioni chiare e determinate. Guardando alle grandi voci che ho citato, vale la pena fare qualche banale esempio. La raccolta e lo smaltimento dei rifiuti costano 5 milioni, interamente coperti dalla relativa tassa: se riduci la spesa, riduci anche la pressione fiscale. Le spese di personale valgono un terzo del bilancio: se continui a ridurle come abbiamo fatto in questi anni, liberi risorse per altri impieghi. Le partite di giro, i fondi rischi e le garanzie non si toccano. Il rimborso dei mutui e gli interessi valgono poco in confronto ad altri comuni e sono diminuiti in questi anni, perché non abbiamo fatto nuovi mutui: se si faranno nuovi mutui, questa voce aumenterà, in ragione di circa 100.000 euro all’anno per ogni milione di nuovi debiti. E il rispetto del patto di stabilità interno rischierà di trasformarsi in una chimera. Ecco, il patto di stabilità interno è un elemento chiave da considerare, ogni volta che si discute degli equilibri di bilancio di un comune. Ragionare sul totale di entrate e spese, senza considerare il saldo necessario per il patto di stabilità, significa operare con la più assoluta miopia, perché le conseguenze del mancato rispetto si pagano – salate – l’anno successivo. Restiamo sull’esempio di un mutuo da un milione di euro e analizziamo il caso concreto: nel 2012 questo Comune ha rispettato il patto per circa 300.000 euro. Ammesso di riuscire a spalmare il pagamento dell’opera finanziata con l’ipotetico mutuo, quel milione sarebbe sufficiente a far saltare il patto di stabilità per almeno tre anni. Ancora, il 2012 si è chiuso con un avanzo di gestione di 800.000 euro, ma appunto il patto è stato rispettato per “soli” 300.000 euro. Questo significa che le vigenti regole di finanza locale ci impongono un avanzo di gestione strutturale. Perché, se avessimo speso le risorse avanzate – come può suggerire chi ha vissuto in altri, meno complicati periodi storici – avremmo bucato il patto di mezzo milione. Con la conseguenza, a parte il taglio delle indennità degli amministratori, di una riduzione di pari importo dei trasferimenti statali per l’anno successivo. Va da sé, infine, che questo necessario avanzo strutturale può essere letto in due direzioni opposte: qualcuno può vederlo come un surplus di risorse richieste ai cittadini – da restituire quindi e prontamente nel caso di significative modifiche normative, che allentino i vincoli del patto di stabilità interno – qualcun altro può considerarlo una mancata spesa, da ripristinare in caso di norme meno restrittive. Come la penso io in proposito è chiaro, ma conta poco. Come la pensate voi e come la pensano coloro che si contenderanno la guida della Città nelle prossime settimane credo sia assai più interessante per i cittadini. La gestione del “Gruppo Comune”, cui tanta attenzione abbiamo dedicato negli ultimi anni, rappresenta oggi e per il futuro un passaggio chiave per il governo dei servizi e della Città. Le più recenti novità normative, che trovano riscontro nell’ultima nota della Sezione di Controllo della Corte dei Conti, impongono un controllo ed una capacità di indirizzo completamente nuovi da parte dell’Ente nei confronti delle società da esso controllate. La nomina, magari la sostituzione, degli amministratori o qualche discussione sui bilanci consuntivi delle società non è sufficiente ad integrare questa nozione di controllo. D’altra parte, come abbiamo più volte sottolineato, la necessità di ricondurre le aziende del gruppo ad un effettivo ed efficace potere di indirizzo del Comune non è – solo – il portato di cogenti impostazioni normative. Se consideriamo che una parte consistente dei costi del Comune (pensiamo alla gestione dei rifiuti, alla gestione calore, al trasporto pubblico locale) sono riconducibili a rapporti contrattuali che coinvolgono aziende del gruppo e che alla pressione fiscale locale si affiancano per i residenti i costi di utenze che, in massima parte, sono gestite ed erogate da aziende del gruppo, non può sfuggire a nessuno quanto critico e fondamentale diventi il ruolo di indirizzo del Comune. Questo, nella forma diretta del controllo proprietario, almeno fino a quando si ritenga necessario ed opportuno il mantenimento di tali società e servizi nell’ambito del controllo pubblico locale. Soluzione che non è scontata, non è obbligata da nulla e da nessuno ed il cui superamento potrebbe invece aprire prospettive inedite e straordinarie, anche sotto il profilo finanziario, per affrontare la maggior parte dei problemi attuali e prospettici della nostra comunità. Non esistono pasti gratis e spesso anche il non decidere ha un suo prezzo. In conclusione lasciatemi dire che - se a Roma si sostiene che il risanamento dei conti pubblici non lo facciamo per la Merkel o per la BCE, ma per i nostri figli - allo stesso modo il risanamento del nostro bilancio non lo abbiamo fatto perché ce lo ha chiesto la Corte dei Conti o per non sentirci ricordare ogni volta dal presidente Accili quanto alto fosse il livello dei residui. Lo abbiamo fatto perché come cittadini italiani conosciamo tutti bene, sulla nostra pelle, le conseguenze di una politica che per anni ha agito disinteressandosi delle compatibilità finanziarie. E perché, come amministratori, abbiamo sperimentato quanto sia difficile dare risposte alla Città e realizzare qualche obiettivo se i conti non sono in ordine. La generazione di cittadini e di amministratori cui appartengo conosce fin troppo bene questa realtà. Sa che non esiste nessun ciclo “spesa - risanamento - nuova spesa” e che aver risanato i conti non consegna alla prossima amministrazione nessun particolare e comodo spazio di manovra finanziario. Sa che non si può deviare da un rigoroso controllo dei costi, se non con conseguenze negative per tutti. Sa che chi ha proposto in passato audaci teorie di “keynesismo comunale” ha finito per produrre disastri senza precedenti. Nel momento in cui ci apprestiamo a consegnare un’eredità di conti risanati e riequilibrati, possiamo solo auspicare che la nuova generazione di amministratori che prenderà il nostro posto tra qualche settimana si dimostri altrettanto consapevole.

in viaggio con Manubrio