venerdì 19 aprile 2013

Che poi magari non lo eleggono. Ma almeno io l'ho detto

Quando avevo vent'anni, c’era Romano Prodi. C’era l’Ulivo. C’erano i parlamentari scelti dal Popolo. C’era un centrosinistra capace di vincere le elezioni e di governare. Capace di disegnare, nella prospettiva di un’Europa più unita e più forte, un futuro per l’Italia.
Due anni dopo, non c’era più Prodi. Non c’era più l’Ulivo. Non c’era più un centrosinistra di governo. Da lì a qualche anno non ci sarebbero più stati i parlamentari scelti dal Popolo. E al posto della prospettiva europea, il chiacchiericcio no-euro di Berlusconi resuscitato.
C’erano due linee, quando avevo vent'anni, che hanno continuato a esserci: chi voleva costruire il partito dei riformisti italiani, un partito fatto di cittadini, il partito dell’alternanza democratica col centro-destra. Volevamo il Partito Democratico come asse di una storia nuova per l’Italia, che ci rendesse un po’ più simili all’Europa e un po’ meno ai noi stessi negli anni ’70.
Dall’altro lato, c’erano quelli che tra centro e sinistra mettevano il trattino, che pensavano all’Ulivo e hanno poi pensato al Partito Democratico come all’alleanza tra ex comunisti ed ex democristiani: una riedizione del compromesso storico, fondata sulla divisione dei compiti tra la “sinistra” e il “centro”.
Ora la questione non è decidere se Prodi cadde allora perché si sfilarono i comunisti o per un accordo di palazzo: il complotto. Poco importa sapere se la nascita del Governo D’Alema sia stata preparata prima che Prodi inciampasse nella sfiducia del Parlamento. Ciò che conta è la diversa impostazione politica, le due linee. Su di esse – sulla loro efficacia e utilità, per il centrosinistra e per l’Italia – un giudizio ha iniziato a darlo la storia. Un giudizio lo hanno dato i risultati elettorali, compreso l’ultimo.
Un giudizio, infine, lo hanno dato i “nostri” che si sono ribellati alla candidatura di Franco Marini, nata e proposta nella più pura logica della divisione dei compiti: un cattolico al Quirinale, uno “di sinistra” a Palazzo Chigi.
Dunque, se il Partito Democratico si riunirà intorno alla candidatura di Romano Prodi – e non a quella di Massimo D’Alema, di Anna Finocchiaro o di qualche Papa straniero... – sarà una vittoria di chi crede nello spirito originale del PD e rimpiange gli errori commessi in questi anni. Potrei sbagliarmi, ma da quello che leggo in giro, direi che non siamo solo noi “renziani”. Come credo non siamo solo noi a pensare che sia meglio separare – finalmente e davvero! – la partita del Quirinale da quella di Palazzo Chigi.
Se non ci saranno sorprese, da qui potremo ripartire, la prossima settimana e in vista di vicinissime elezioni: con una nuova leadership, nuovi programmi, un nuovo atteggiamento.
Per vincere e governare. Per fare quello che deve fare il Partito Democratico. "E prendiamola tra le braccia, questa vita danzante..."

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