domenica 14 aprile 2013

Fabrizio Barca, secondo me

Ho letto il documento di Fabrizio Barca, sul “Partito nuovo”. Provo a fare alcune riflessioni, premettendo che non sono un intellettuale. Quindi, parlerò di pratica, non di teoria.

Anche per questo, rilevo un solo aspetto di natura ideologica relativo al rapporto tra Capitale e Lavoro. Barca ribadisce e rivendica come concetti fondanti dell’identità condivisa di un partito di sinistra il conflitto di classe e la rappresentanza del Lavoro. Scrive: “La separazione fra capitale (materiale e immateriale) e lavoro è caratteristica costitutiva del capitalismo: il capitale è controllato da “imprenditori” che traggono dal controllo l’incentivo stesso a innovare; il lavoro è posto in condizione di svantaggio contrattuale da tale controllo”. Punto.

Sul piano dell’organizzazione, Barca pone una questione dirimente: la separazione del Partito dallo Stato e il Partito come luogo di elaborazione delle scelte politiche e amministrative. Con un ruolo ridimensionato per gli eletti dal Popolo. “Nuovo”, definisce il Partito. Partito nuovo” fu quello di Togliatti nell’immediato dopoguerra e “nuovo” fu anche il PCI nel 1989, due anni prima di sciogliersi.
Questo “partito nuovo” dovrebbe rompere ogni legame con lo Stato e trasformarsi in una palestra di “mobilitazione cognitiva”: cioè un percorso
positivo dal basso verso l’alto e viceversa, attraverso il quale le molteplici soluzioni ai problemi sociali si traducono in scelte condivise di buon governo.
La proposta – al netto di qualche accento nostalgico verso sempre troppo mitizzate forme-partito passate – contiene un certo fascino. E potrebbe avere effetti dirompenti, qualora attuata. Chi di noi conosce anche superficialmente il Pd sa che l’attuale organizzazione soffre di tutti i difetti che Barca individua, è afflitta da un rapporto "simbiotico" con lo Stato e le amministrazioni locali, produce selezione avversa del personale politico e di governo.

La proposta di trasformazione di questo Pd verso una “palestra della mobilitazione cognitiva” si presta a essere interpretata e giudicata in due modi:
1. Può essere rivoluzionaria, se imposta con una battaglia in campo aperto contro l’attuale assetto del Pd, contro interessi forti e consolidati che resistono e resisteranno.
2. Può – per contro – ridursi a un esercizio di stile, che delinea un’idea astratta di partito, per come dovrebbe essere, per come vorremmo che fosse. Senza incidere concretamente nella realtà.
Il problema, sul piano pratico, è che Barca individua due percorsi possibili: una non meglio specificata “doccia fredda”, che cambi qui e subito il Pd. Oppure un
"cambiamento graduale che muova dalle 100 “unità territoriali” dove esistono leader forti, capaci di costruire prototipi di cambiamento, o dove il cambiamento e già in moto”. Tuttavia, poiché la doccia fredda dovrebbe essere scelta – e votata – all’interno di questo Pd, le sue probabilità di successo sembrano assai limitate. Di contro, una svolta graduale rischia di non arrivare mai al risultato, senza una soluzione in qualche modo traumatica, che rimuova le interessate resistenze che ad ogni cambiamento si opporranno.

Ciò che forse più interessa il dibattito è la compatibilità/complementarietà dell’approccio di Barca rispetto a quello di Renzi. Sono piuttosto convinto che tale compatibilità non esista. Di più, la proposta di Barca mi pare una possibile/probabile alternativa alla battaglia di Matteo: centralità del partito, rappresentanza del lavoro come suo “core business”, prevalenza degli organismi di partito rispetto agli “eletti”, sino alla sostanziale negazione (pur non esplicitata, ma automatica nel delineato nuovo ruolo assegnato al partito) del metodo delle primarie libere e aperte come strumento di selezione dei gruppi dirigenti, di coinvolgimento dei cittadini, di scelta tra opzioni politiche differenti.
Con il corollario di un percorso graduale che rischia di trasformare il tutto in un make-up di modernità a un’organizzazione che manterrà tutti i suoi difetti e ritardi.

Negli ultimi due giorni ho condiviso queste mie riflessioni con alcuni amici e compagni. Ne è uscito un dibattito interessante, che provo a sintetizzare lungo due linee di ragionamento: quella di chi mi fa notare il fascino indiscutibile della proposta di Barca per un “uomo di sinistra”, specie alla luce dell’attuale stato delle cose nel Pd… e quella di chi ribadisce la complementarietà delle proposte di Renzi e Barca nel nostro scenario politico.

Sulla prima questione, temo di dover essere d’accordo: un “partito nuovo”, che promette di contenere tutto il buono del partito più vecchio (il PCI) senza i difetti del Pd, può piacere - e molto - ai militanti. Su questo dirò solo che ci sono due modi di intendere la partecipazione alla vita democratica: abbiamo fatto il Pd perché ritenevamo necessaria una forma-partito più aperta al contributo di chi è un “semplice elettore” e intende restarlo. Questa scelta partiva da un’analisi della società e delle forme di partecipazione democratica possibili nel mondo di oggi. L’impostazione iniziale è stata accantonata da chi ha tentato di trasformare il Pd in un “partito forte”, organizzato e radicato sul territorio tramite sezioni, tessere, direttivi e federazioni. Come lo erano i partiti di una volta, uno su tutti. Il risultato non è stato granchè, in termini organizzativi e anche elettorali. Barca spiega che il difetto non sta nella linea, ma nel modo in cui è stata perseguita: va bene il “partito forte”, ma lo abbiamo fatto male. Io continuo a pensarla in un altro modo.

Sulla seconda, vi riporto integralmente la lucidissima critica dell’amico Renzo Gorini: “Il documento di Barca non espone una “teoria del governo”, nel senso che non indica strategie programmatiche di governo. Anzi teorizza che le politiche devono emergere dal confronto-conflitto fra le componenti aggregate dal partito, siano iscritti, simpatizzanti o “altri”. Con un singolare e ripetuto riferimento ad Adam Smith, non tanto a quello della “Ricchezza delle nazioni” ma piuttosto a quello della “Teoria dei sentimenti morali”. L’esatto opposto di Renzi che non espone mai una “teoria del partito”. E’ questa posizione di Barca che mi ha portato a pensare che i due possano essere complementari, dato che entrambi sono imbevuti di una logica pragmatica e soprattutto “rivoluzionaria”(lo ammetti anche tu) rispetto al partito attuale. Tu li vedi invece inevitabilmente conflittuali. Può darsi. Ma se è così sarà meglio che Matteo si dia una svegliata perchè di una cosa resto convinto: senza una “teoria del partito” puoi vincere la premiership del paese, grazie alle forze che gruppi come il nostro possono aggregare in occasione delle primarie, ma poi?”

Le due critiche spiegano anche perché il progetto originale del Pd sia stato rapidamente accantonato sull’onda di un entusiasmato ritorno al partito "forte e radicato". Poiché però quel partito ha mostrato tutti i suoi limiti, si arriva dunque al nocciolo della questione. Nocciolo - pragmaticamente - politico: il “partito nuovo” di Barca verrà imposto con una rottura rivoluzionaria, oppure si tenterà l’impossibile strada di trasformare questo Pd nel “partito nuovo”, gradualmente? Considerato che nel mondo d’oggi anche il tempo ha una sua importanza, il primo caso può aprire una prospettiva complementare tra la “teoria e prassi del partito” di Barca e la “teoria e prassi del governo” di Renzi. Sempre che si possa e si voglia sorvolare su un dettaglio relativo ai contenuti: è compatibile, prima ancora di poter essere complementare, con l'impostazione programmatica di Matteo Renzi un partito "di sinistra", radicato nell'idea di una insopprimibile lotta "di classe" tra Capitale e Lavoro?
Nel caso di una soluzione progressiva, Barca potrà essere – al massimo – l’antagonista di Renzi. Al quale potranno rivolgersi, per disperazione se non per convinzione, le truppe disperse del “partito vecchio” che oggi resistono come soldati giapponesi sulle ultime isole del Pacifico.

Quanto a Renzi, ha ragione Gorini: l'ascesa di una nuova classe dirigente non è possibile, oggi, senza far leva sui tanti cittadini che stanno fuori dal partito, ma vogliono incidere sulle sue scelte attraverso le primarie. Ma per gestire, anche nel governo, la "vittoria" servirà una "teoria e prassi del partito" - possibilmente alternativa a quella qui analizzata e più aderente allo spirito iniziale del Partito Democratico... - capace di garantire in forme nuove ed efficaci il rapporto con una società complessa.

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