sabato 31 dicembre 2011

Stupidi ragionieri

Ho letto le dichiarazioni di Piero Fassino sulla “decisione” della Città di Torino di “uscire” dai parametri del patto di stabilità interno per il 2011. Troppo “stupido”, il patto, per meritare di essere rispettato.
Mentre scrivo queste righe non so ancora se il Comune di Novi Ligure sia riuscito a restare nei limiti fissati dalla legge per far partecipare gli enti locali allo sforzo generale di risanamento dei conti pubblici. Abbiamo fatto tutto il necessario, stiamo tirando le somme. Vedremo.
Quello che invece so è che sono in radicale disaccordo con l'affermazione del sindaco di Torino. Che trovo sbagliata nel metodo, inconsistente nel merito, pericolosa per le conseguenze che può innescare.
Sbagliata nel metodo, perché le leggi si cambiano, ma finché sono in vigore si rispettano. Scegliere di non rispettare una norma di legge non rientra tra le facoltà riconosciute a un sindaco. Inconsistente nel merito, perché il patto di stabilità, per quanto lo si possa liquidare come “stupido”, è uno strumento necessario a garantire che gli enti locali non vadano per la loro strada – dal punto di vista finanziario – vanificando gli sforzi fatti a livello nazionale per rimettere in ordine i conti.
Ma ciò che più conta, una posizione come questa è terribilmente pericolosa. Oltre che vecchia.
Intanto, come hanno sperimentato già ieri sera i miei amici di Alessandria, se la necessità di fornire servizi ai cittadini e contrastare gli effetti della crisi giustifica la “scelta” di non rispettare il patto di stabilità, perché non dovrebbe giustificare anche la “scelta” di spendere più di quanto si incassa, sfracellando le casse di un comune? In questo modo, tutto è consentito, la politica afferma il suo primato sulle “stupide” regole della ragioneria e tutti vivono felici.
Questo è esattamente il percorso che ha fatto l'Italia negli ultimi trent'anni, con ragioni politiche, di consenso, di difesa dei “diritti” che hanno prevalso sulle grige e “stupide” regole della buona contabilità. I risultati sono sotto gli occhi di tutti e non vale la pena spenderci altre parole.
Infine, la dichiarazione di Fassino sembra preludere a una battaglia perché le conseguenze pesanti previste dalla legge per gli enti che non rispettano il patto di stabilità interno vengano edulcorate. Sarebbe una schifezza, ma tante ne sono state fatte negli ultimi anni. Perché, di fatto, le penali non sono mai state applicate agli enti inadempienti.
É il trionfo della politica peggiore che abbiamo conosciuto. Quella che se ne frega delle risorse e degli equilibri di bilancio. Quella che ha potuto praticare e spesso continua a praticare la generazione precedente alla mia. Quella che, un paio d'anni fa, mi suggeriva di non essere troppo rigoroso, che ci vuole ottimismo, che altrove se ne fregavano del bilancio e vivevano felici... Il tempo sarà galantuomo, solo che poi qualcuno dovrà pagare il conto. E non saranno loro. 
Ma in fondo, tutto questo conta poco: nel trionfo di frasi irripetibili su quanto sia stato orribile questo 2011, io sento di chiudere un'ottima annata. E sono abbastanza felice. Con questa bella sensazione guardo al 2012... lo facessimo tutti e ci dessimo un po' da fare, invece di recriminare, forse avremmo qualche speranza in più.

lunedì 26 dicembre 2011

Quattro turni e un benchmarking

A volte mi domando se questo blog serva a qualcosa. Ripenso alla scorsa estate, quando iniziai a scriverci qualche sciocchezza, per la necessità - e il gusto - di mettere in chiaro alcune cose. Parlavo di un viaggio, che oggi è iniziato e proseguito per un pezzo. Tanto che adesso mi riesce di guardare alle cose di casa con la prospettiva della distanza. Che non le sfoca, ma aiuta a vederle senza l'ansia del giorno dopo giorno.
Ma, appunto, questo blog serve per chiarire alcune cose, specie a chi appare più refrattario a farsene una ragione. Quattro mesi fa diedi scandalo con due affermazioni: "non punto a fare il sindaco nel 2014" e "c'è in giro un clima di normalizzazione che punta a cancellare il rinnovamento avviato negli ultimi anni". A distanza di quattro mesi, il tenore del dibattito nel mio partito - magistralmente riassunto dall'amico Bruno Motta in un'intervista a Il Novese - è il seguente: "Marubbi fa casino perché vuol fare il sindaco, ma è una cosa "normale" e si faranno le primarie". Odio avere ragione quando preferirei sbagliarmi.
Lo schema è fin troppo facile da decifrare, il metodo sempre lo stesso: si banalizza una posizione di cui non si vuole discutere, la si condisce con qualche velata accusa di "ambizione" e di "individualismo", si rivendica il primato del Partito sulle beghe personali. Accettando persino il ridicolo di proporre primarie a due turni (prima di partito, poi di coalizione) per scegliere chi candidare in un'elezione a due turni: il quadruplo turno alla Novese.
Nonostante tutto, Io ci riprovo, perché a Natale si dovrà essere più buoni, ma di certo non pirla, come dicono da queste parti. 
Possiamo discutere di come un grande Partito, anche in sede locale, seleziona, protegge e promuove gruppi dirigenti nuovi e giovani? Ci chiediamo se abbia senso considerare la città come un premio alla carriera per chi fa politica da quarant'anni o se non sia venuto il momento - magari ce lo chiedono i cittadini... - di dare spazio ad altri, fuori da ogni logica di nepotismo e di cooptazione? 
Io a queste domande non ho mai ricevuto risposta. Si preferisce discutere della mia candidatura che non c'è e non ci sarà. E di quanto mi aiuterà fare il rottamatore in vista delle primarie. Io continuerò a porre la questione e a farlo, anche se non sono candidato a niente. Spero che, prima o poi, si vorrà discutere di questo.
O in alternativa, che qualcuno si decida, prima o poi, a voler parlare del bilancio del Comune, della cura che gli abbiamo fatto, dei risultati che abbiamo raggiunto. Magari dando un'occhiata intorno e facendo un po' di benchmarking a livello provinciale. A proposito di selezionare, proteggere, promuovere nuovi gruppi dirigenti, forse dalle mie parti, soprattutto nel 2012, potrebbe servire giocare un po' a "trova le differenze". O no?

domenica 11 dicembre 2011

Stipendi, vitalizi e qualità della democrazia

Sappiamo bene che, con questa legge elettorale, ci si può aspettare ben poco dal singolo parlamentare. Puoi contare sulla sua personale onestà, sul suo senso dello Stato, sulla sua voglia di essere ricordato come una persona per bene. Ce ne sono, non vi è dubbio. Ma il metodo di selezione favorisce la scelta dei peggiori: i voltagabbana ci sono sempre stati - tanto che dubito molti ricordino cosa sia una "gabbana" - ma in questo Parlamento hanno raggiunto l'apice del numero, della notorietà, della sfacciataggine.

Ma non è di questo che voglio parlare, anche perché rischio mi diano del demagogo. Vorrei discutere dei rimedi possibili a questa situazione e di ciò che si discute in questi giorni: stipendi e vitalizi.

Il vitalizio per i parlamentari, che non è una pensione, fu pensato per dare forza al principio costituzionale del mandato che si esercita senza vincolo. Il ragionamento era: se garantiamo al parlamentare di che vivere dopo la fine del suo mandato elettivo, egli sarà più libero dai vincoli di partito e potrà agire secondo coscienza, perché non dipenderà economicamente dalle decisioni di altri.

Il problema sorge quando chi si propone di condizionare le scelte di un parlamentare abbia argomenti ben più "convincenti" rispetto al vitalizio. Penso alle cifre a cinque o sei zeri di cui si è parlato nei mesi scorsi. Ma anche, più semplicemente, alla promessa di rielezione.

E qui veniamo alla questione dello stipendio, perché è proprio il valore elevato di quello stipendio ciò che rende appetibile - da un punto di vista strettamente economico - la scelta di vendere il proprio voto per restare in Parlamento. Allora, per fare le cose bene, si dovrebbe mantenere il vitalizio riducendo drasticamente lo stipendio, con tutti i suoi ammennicoli. Un parlamentare che non fosse più d'accordo col suo partito, potrebbe andarsene come un uomo libero. E non avrebbe troppi incentivi a starsene buono e zitto. Minore sarebbe anche l'incentivo a vendersi in cambio della rielezione.

Rilevo che il dibattito parlamentare sta andando nella direzione opposta: via i vitalizi, ma giù le mani dagli stipendi. Saranno contenti i padroni dei gruppi parlamentari. Saranno contenti anche i molti peones dell'una e dell'altra parte. Qualche uomo libero, lo abbiamo?

lunedì 5 dicembre 2011

La campanella

Non vorrei parlare delle pensioni. Sono il tema più delicato e che solleva maggiori proteste. E’ così da vent’anni, me lo ricordo bene, da quando si è cominciato a discutere e a riformare il sistema. In questi vent’anni, migliaia e migliaia di italiani hanno continuato ad andare a riposo con pensioni di gran lunga superiori a quanto avevano versato. Quel costo, insieme a quello di decenni di prepensionamenti e altre storture, grava sulle generazioni successive. Ciò che cambia da ieri è che il peso finisce sulle spalle di tutti quelli che ancora lavorano, non solo dei più giovani. Non è una bella notizia, perché tutti – anche io – preferiremmo andare in pensione a 55 anni, con 35 anni di contributi e l’80% dell’ultima retribuzione. Ma sappiamo bene che questo non è (non sarà più) possibile. Auguri di buona pensione a chi ci è riuscito. E di buon lavoro a tutti gli altri.
Nella manovra di Mario Monti, spiegano molti attenti osservatori anche della mia parte, manca “la patrimoniale”. In effetti, pare che nessuno degli articoli e commi del decreto legge si intitoli “tassa patrimoniale”. Questo è sufficiente per dire che non vengono tassati i grandi patrimoni? Mi pare di no. Le novità sugli immobili ci sono e pesano in misura molto diversa tra prime e seconde case. E fatemi capire, se si vuole mettere una tassa sui patrimoni in Italia, su cosa si deve agire se non sulle proprietà immobiliari? Poi c’è altro, dal prelievo sui capitali rientrati con lo scudo fiscale alle nuove tasse sui beni di lusso. O qualcuno pensa – mentre il problema sono i tassi sul nostro debito pubblico – che si debbano “tassare i Bot”?
Questo discorso si collega a quello sull’equità, che in Italiano si traduce più o meno “paghi chi non ha mai pagato”. Poi però c’è chi intravede un deficit di equità nel mancato aumento delle più alte aliquote Irpef. Ora, chiarito che chi guadagna 70.000 euro all’anno sta meglio di chi ne guadagna 30.000, bisognerà pur ricordare che a pagare l’aumento dell’Irpef sarebbe stato chi quei 70.000 euro li dichiara: lavoratori dipendenti ad alto reddito. Sarà più equo colpire loro o – attraverso una maggiore imposizione sul tipico bene rifugio degli evasori, l’investimento immobiliare – provare a tassare chi quei redditi li ha, ma non li dichiara?
Sui costi della politica, forse nessuno se n’è accorto, il Governo ha fatto praticamente tutto quello che poteva: ha ridotto gli stipendi dei ministri. Quelli dei parlamentari deve ridurli il Parlamento, quelli dei consiglieri regionali, i singoli consigli. Per decreto non si può fare, se non si vuole rischiare un conflitto costituzionale di attribuzioni che potrebbe vanificare tutto lo sforzo. Identico discorso vale per la semplificazione della macchina amministrativa, con il lungo elenco di enti e organismi soppressi. E soprattutto, con l’abolizione delle province. Che scritta così, nel decreto non c’è, semplicemente perché le province sono previste dalla Costituzione (ce le abbiamo messe noi, non i Padri Costituenti…) e per decreto non si possono eliminare. Ma avete capito cosa succede alle province nei prossimi nove mesi?
Insomma, a me non pare poco, né per l’equità né per la semplificazione della pubblica amministrazione. E oggi lo spread coi bund è sceso sotto i 400 punti base. Che parlarne sarà pure un noioso e astruso tecnicismo, ma siccome a me piace mangiare tutti i giorni e vorrei farlo ancora per qualche decennio, mi ci sono abituato. E penso che conti di più l’andamento dello spread che la simpatia o il consenso che potrei ottenere partecipando – insieme a troppi amici – al gioco un po’ paraculo delle critiche, dei distinguo, del tirare indietro la manina per paura di bruciarsi un poco.
Non so quanti tra i miei amici che si occupano di politica lo abbiano capito, ma quella che si sente suonare è la sirena dell’allarme. Non la campanella della ricreazione.

mercoledì 30 novembre 2011

Signori e usurai

Nei secoli passati, nelle società più arretrate d’Europa, capitava che esistessero villaggi vessati da signori locali, rapaci e corrotti. Le popolazioni rurali e dei piccoli centri urbani erano schiacciate da una tassazione pesantissima e senza contropartite. Questo accadeva perché il signore locale utilizzava i denari ottenuti spremendo i propri governati per fare piccole guerre, accrescere il proprio potere, estendere i privilegi e il benessere della propria corte, favorire i suoi clienti e tutti quelli che rientravano nelle sue grazie: una gestione del proprio ruolo pubblico in chiave personale, famigliare, di casta.
Spesso i soldi prelevati presso la popolazione non erano sufficienti a sostenere i livelli di spesa del signore. Che era dunque indotto a indebitarsi, sulla promessa di ripagare i propri creditori con gli introiti di nuove tasse o con l’arricchimento conseguente a nuove – costose – guerre di vicinato. Anche il popolo, già misero di suo e impoverito dall’iniquo prelievo fiscale, era spesso indotto a indebitarsi presso i prestatori di denaro. Specie quando un raccolto andato male o un’altra calamità – collettiva o famigliare – ne metteva a rischio la stessa sopravvivenza.
Quando il meccanismo di accumulazione del debito agiva per troppo tempo, senza inversioni di tendenza, prima o poi si giungeva ad una situazione insostenibile, sia per i poveri popolani indebitati, sia per le casse più o meno pubbliche del signore locale. Molto spesso, la situazione veniva affrontata con una forma molto singolare di “default”: il signore chiamava un bravo ed entusiasta predicatore, che si dedicava per qualche tempo a denunciare i guai dell’usura e le malefatte degli usurai. La predicazione risultava spesso in atti di violenza, concludendosi con la cacciata dei prestatori – e dei loro crediti – dalla regione, ad opera del popolo inferocito. Il fatto che i prestatori appartenessero, per la maggior parte, a una diversa religione facilitava il compito dell’incendiario di turno. E gli forniva motivazioni aggiuntive per convincere una popolazione ignorante e dominata dalle superstizioni.
Ho pensato che non siamo contadini medievali, ma cittadini moderni dell’Europa nel ventunesimo secolo. Per questo sono sicuro che, se un politico italiano che porti la responsabilità dei livelli di tassazione attuale e del debito pubblico, che frenano l’economia e ci tirano addosso il rischio di fallire, che abbia avuto qualche ruolo di governo negli ultimi anni, ci proponesse una pietra da tirare contro una banca o contro il “Governo delle banche”, gliela daremmo piuttosto sulla testa (ovviamente, in senso figurato...). Questo vale per tutti, ma soprattutto per quelli che sono passati da difendere il “bunga bunga” a denunciare complotti internazionali contro l’Italia. Se hai un debito, hai poco da prendertela col tuo creditore. Anche se è globale (una volta si diceva “cosmopolita”) e ricco (una volta si chiamava “plutocratico”): il problema è tuo, non dell’altrui cattiveria o ingordigia.
Sarà che son sensibile, ma quando vedo certo nazionalismo da straccioni che va a braccetto col populismo più becero, sento sempre puzza di bruciato. E aggiungo che se per caso qualcuno ritiene il dare contro “le banche”, “la finanza internazionale”, "la globalizzazione" e “i nemici dell’Italia” una battaglia in qualche modo di sinistra, non ha capito niente.

sabato 26 novembre 2011

Cooptazione e governi

Il Partito Democratico sostiene il Governo di Mario Monti e il suo sforzo per rimettere in piedi l'Italia. Il Partito Democratico sa che il Governo di Mario Monti è lì per fare alcune riforme che possono non piacere a una parte dei suoi elettori. Il sistema pensionistico, per primo, che va riformato, non perché i conti dell'Inps siano in perdita, ma perché sono in equilibrio su un meccanismo che eroga oggi ai cinquantenni pensioni pari all'80% dell'ultima retribuzione. Ed erogherà, domani, pensioni ai settantacinquenni pari al 40% della loro (nostra...) ultima retribuzione. Il mercato del lavoro, per secondo, dove chi è tutelato lo è totalmente e chi non è tutelato non lo è per niente. La riforma della Pubblica Amministrazione, infine, perché va ridotta la sua dimensione, ne vanno contenuti i costi e va semplificato un sistema di governo che, sotto il paravento della "democrazia", protegge privilegi ed enti inutilissimi. Province, province e province per prime.
Io spero che il Governo di Mario Monti abbia la forza di fare tutte queste cose, così come quelle (Ici, lotta all'evasione, liberalizzazione delle professioni, una nuova stagione di coesione territoriale) che non vanno a genio all'altra parte. Questo è il succo della questione politica di oggi: un Governo sostenuto da tutti o quasi, che si incarica di fare le cose che servono, che piacciano o dispiacciano ai singoli partiti.
Ho pensato per qualche giorno, nella mia beatissima ingenuità, che la partecipazione entusiasta del Pd a questa nuova stagione fosse autentica e priva di astuzie. Mi sono sbagliato, ancora una volta.
Adesso mi spiegano che - se parliamo di economia - noi abbiamo una posizione, che è stata decisa in un'assemblea programmatica. Una posizione diversa da quella di Monti e del suo Governo. Fossimo gente seria, gli toglieremmo la fiducia. Così potremmo andare alle elezioni, vincerle e applicare la nostra ricetta - tornare avanti o andare indietro, mi pare si chiami... - che superi gli errori degli anni '80 e '90. Ci sono già i ministri in pectore per applicarla. 
Qualcuno dirà: ma abbiamo preso impegni con l'Europa, non possiamo mica. Certo che possiamo. E poi che importa? Al governo ci andiamo con l'Udc: potremo sempre fare le cose che non sono di sinistra e dire che ci hanno obbligati loro. E speriamo che lo facciano...
Insomma, siamo sempre li, alla responsabilità istituzionale senza politica: sosteniamo Monti, ma noi faremmo dell'altro. Non è vero, ma poco importa. Basta restare in sella e che passi la bufera. La nuova guardia è pronta a scendere in campo: "iscrittosi giovanissimo alla direzione nazionale del partito", uno Stefano Fassina basterà per rinverdire i fasti dei quarantenni di vent'anni fa.
Intanto Monti parla di primato del merito e vuole superare "ogni forma di cooptazione". E si capisce che i Giovani Turchi non possono proprio condividere.

lunedì 24 ottobre 2011

E se casca?

In due giorni la situazione sembra davvero precipitare. Finalmente, dirà qualcuno. E come dargli torto. Certo è che la piega presa dagli eventi nelle ultime 24 ore lascia pensare ad una fine, rapida ma tutt’altro che indolore, del governo. C’è qualcosa di surreale e al tempo stesso fastidioso in questo che, forse, sarà il vero epilogo del berlusconismo come esperienza politica.
Surreale, ma anche fastidioso, è quanto avvenuto ieri, con i leader di due grandi paesi europei a farsi beffe del premier italiano, insieme a una nutrita delegazione di giornalisti internazionali. Anche questo andrà sul conto di Berlusconi e del livello tragicamente basso cui ha portato l’immagine del Paese, insieme alla sua personale. Comunque, se Berlusconi non è De Gasperi, ieri non abbiamo visto – in quella conferenza stampa – né un Adenauer né un De Gaulle. Se il livello è questo qui, meglio abbassare il sipario, per tutti.
Ancora più surreale appare il dibattito che si è subito aperto in Italia e che forse porterà al crollo della maggioranza di governo. La Lega di Roma, che ha ceduto su tutto e ha digerito qualunque cosa. In nome di un’alleanza indissolubile con Berlusconi, sembra pronta a staccare la spina sulle “pensioni”. Che non si devono toccare, perché abbiamo già dato e la Lega difende i lavoratori.
Ci sarebbe da sorridere, non fosse che la situazione è – davvero – tragica. Non so se avanzino solo due giorni per salvare l’Italia. O se abbiamo ancora qualche settimana. La verità, però, è che i nodi sono venuti tutti al pettine e che sarebbe criminale – autenticamente criminale – ogni astuzia pre-elettorale, ogni tentativo di sfruttare la situazione per guadagnare facile consenso. Come sta facendo la Lega.
Piuttosto, ora che forse questi cascano sul serio, è davvero il momento di capire se siamo capaci noi di assumerci la responsabilità che serve al bene del Paese. E se saremo capaci noi di evitare i tatticismi e le furberie di chi pensa che il primo e principale problema siano le elezioni di primavera, piuttosto che il baratro su cui oscilla il futuro dell’Italia.
E insomma, Berlusconi spinto dall’incombere della tragedia si è risolto a toccare l’intoccabile, a proporre qualcosa di improponibile per la sua maggioranza. Rischia tutto perché non può fare diversamente. Ci prova. Tutti ci auguriamo che esca in fretta sconfitto da questa vicenda. E che se ne vada.
Però resterà intatto il problema e toccherà a qualcun altro affrontarlo. La riforma del sistema pensionistico, con l’innalzamento da subito dell’età pensionabile, è una scelta che non potrà essere evitata. Non da chi voglia davvero salvare l’Italia, a costo di rimetterci il consenso di chi sta facendo le acrobazie per andare a riposo prima – molto prima – dei 67 anni.
Io penso che un partito riformista debba avere il coraggio e l’onestà intellettuale di farsi carico di questa sfida. Lasciando da parte la storia dei diritti acquisiti. Che acquisiti non sono nemmeno un po’, se li deve pagare qualcuno che di quei diritti non conoscerà nemmeno un’ombra sfocata. Il resto sono tatticismi, buoni per restare a galla e guadagnarsi un altro giro sulla giostra. Ma il biglietto lo pagheranno, stavolta carissimo, i soliti.
Che non sono – diciamolo una volta chiaramente – “i lavoratori, i pensionati, le donne, i giovani…”. Ma più che altro, “i giovani”. Dei quali, dopo una settimana di ramanzine e di fastidiosi amarcord sui “favolosi” anni ’70, nessuno già parla più.

P.S.: mezz'ora fa ho sentito per radio Morando dal Senato e Bersani in conferenza stampa. Il secondo dice che sulle pensioni "si può fare qualcosa". Il primo è stato più chiaro, partendo dai numeri, come  fa sempre. Bersani ha anche risposto, a chi gli chiedeva se ci sarà il tempo per fare le elezioni visto che dobbiamo "rispondere all'Europa", che "se non arrivano i gesti, arrivano le letterine". Il gesto sono le dimissioni: se Berlusconi se ne va, avremo tutto il tempo per fare ciò che serve. Vorrei tanto che avesse ragione, ma temo abbia torto.

domenica 23 ottobre 2011

A Bologna, a Bologna!

Vorrei essere a Bologna. Forse, dovrei essere a Bologna. Ma, a parte il mal di gola, mi è toccato spostare un po' di suppellettili. Da Ikea alla pancia di Milano, a Novi, alla pancia di Milano. Mi perdoneranno, spero.

Prometto che leggerò tutto. Che con Civati, come si diceva una volta, siamo di leva. Ma non è colpa sua. E la Serracchiani mi piace sin dall'inizio: non ha mai rottamato nessuno, ma l'hanno sempre criticata lo stesso. Tanto per dire, chi attacca e chi si difende. C'è pure Zingaretti, che me lo ricordo da quando ero ragazzino. E va bene così:  un'ottima compagnia.

Da qui ho capito tre cose, che mi piacciono assai.

La prima è che questa Prossima Italia vive nel mondo. E che, forse, abbiamo una possibilità di far crescere, anche qui da noi, la speranza che muove i giovani di tutto il pianeta nelle ultime settimane. Il vento, che dà tanto fastidio a qualcuno, ma che serve. Qui come altrove. Qui più che altrove.

La seconda: ci saranno le primarie del centrosinistra e ci sarà un candidato. Ottimo. Così si fa, senza tatticismi e furberie. Si lanci la sfida e vinca chi deve. E sia chiara la scelta, per tutti. D'Alema e Veltroni ci si mettano, se ne hanno il coraggio.

La terza: si facciano le primarie per scegliere i candidati al Parlamento. Tanto ovvio per qualunque persona di normale intelligenza, quanto inconcepibile per molti dei nostri. Che già me li sento a spiegare: "lo statuto prevede le primarie per la selezione dei candidati alle cariche monocratiche".  Farebbe ridere, non fosse che fa piangere. Primarie di collegio, perché i candidati li vogliamo scegliere. E oggi non chiedono un voto nemmeno ai direttivi di circolo, non dico agli iscritti.

Vabbé, ma questa roba nasce per ricostruire, mica per rottamare. Bisogna essere ottimisti e pensare alle proposte. Che poi, a ben vedere, la novità è rilevante: non si rottama nessuno, perché si sono già rottamati, senza rendersene conto. Tra autostrade e aeroplani, Tedesco e Calearo, aventinismi e grandi successi elettorali - come in Molise...- hanno fatto tutto da soli.

Ora tocca a qualcun altro.

Mentre andavo avanti e indietro con le mie suppellettili, ascoltavo Radio Radicale. Da Capri, i giovani industriali discutevano con giovani che fanno altro. C'era Zedda, il nuovo sindaco di Cagliari, che ha detto un sacco di cose, con quel suo sublime accento sardo, che trasmette tanta rassicurante fermezza. Questa mi è rimasta impressa: ti alzi al mattino e ti guardi nello specchio. È un attimo il passaggio dal chiederti cosa puoi fare oggi di buono al domandarti se ti convenga farlo. Quando compi quel passo, hai smesso di fare politica.

Ecco appunto, facciamo politica e ricostruiamo. Perché ricostruire è buono. E bisogna avere il potere che serve per fare le cose giuste. Che quali sono, le cose giuste, lo sanno tutti. Il problema è che ad alcuni non convengono.

venerdì 21 ottobre 2011

Pasta, fagioli e la ragione dei matti

Anche se a stare tre ore in una serra prendi un po’ di freddo, quando alla fine ti propongono una pasta e fagioli come quella dell’altra sera, tutto si sistema. Se poi ti fanno persino il live blogging delle due stupidaggini che sei andato a raccontare, c’è persino il rischio che tu ti senta un figo.
Comunque è stata una bella serata. Dico di martedì in Alessandria, con Gianguido Passoni e Rocchino Muliere – che non mi ha nemmeno bacchettato, ma dai… – con Giorgio Abonante. E ovviamente, con Mauro Buzzi.
Ho detto due cose, almeno ci ho provato. Che a me paiono fondamentali, specie di questi tempi e specie da quelle parti. Che quando Buzzi sarà sindaco di Alessandria ne avrà di problemi da risolvere per rimettere insieme i cocci del bilancio di quel comune. E non vorrei essere al suo posto.
La prima cosa: un bilancio comunale non è mai un fatto tecnico. Se vi spiegano che quella è roba da esperti, da cervelloni della finanza che ci capiscono, probabilmente vogliono fregarvi. I bilanci sono una questione politica e lo sono ancora di più nei periodi difficili. Tocca alla politica fare le scelte e assumersi le responsabilità del momento. Tocca alla politica decidere dove e come ridurre la spesa o aumentare l’entrata per tenere in ordine i conti. Il resto sono balle. E se qualcuno spera di risolvere i problemi di bilancio mettendo insieme un pool di cervelloni, si sbaglia di grosso.
La seconda cosa: chi considera i servizi pubblici come un “Bene Comune” deve lavorare perché le aziende a proprietà pubblica siano più efficienti e non meno efficienti di quelle private, più economiche e non meno economiche, più e non meno capaci di produrre servizi a costi competitivi. Perché a farne una questione ideologica e basta, non si risolve ma si rischia di peggiorare un quadro già non esaltante, dando via libera ai peggiori istinti: aziende gestite da politici e amici “da sistemare”, carriere manageriali cresciute al riparo da ogni concorrenza, assunzioni clientelari, piccoli e grandi spazi di potere che si consolidano. C’è pieno di gente pronta ad approfittare della ripubblicizzazione delle società di servizi, per farsi i fatti propri a spese di tutti. Non meno di quella che ha approfittato delle semi-privatizzazioni degli ultimi vent’anni per fare la stessa cosa.
Ho scoperto che anche a Torino – pure loro parlano di “Gruppo Locale”, come faccio io… – i manager si incazzano e difendono l’autonomia delle aziende. E ti spiegano che loro discutono col sindaco. Magari una volta all’anno, nell’assemblea di bilancio. E forse anche per questo tanti cittadini hanno votato Sì al referendum: perché se la proprietà è pubblica, cioè mia, io voglio contare e decidere. E voglio che quelli che ho eletto contino e decidano. L’ideologia non c’entra niente. Elementare, o no?
Le stesse cose, più o meno, le ho ripetute il giorno dopo a Novi Ligure. Se ne riparlerà presto. Qui, almeno, che il bilancio è una questione politica lo abbiamo capito da un pezzo. E forse stiamo un po’ meglio anche per questa ragione. Per il resto, io di governance del “Gruppo Comune” parlo e straparlo da anni.
Parlo e scrivo e non cambia mica niente, ma tutti mi danno ragione. A volte mi sembra la ragione dei matti.

domenica 16 ottobre 2011

La Domenica delle Salme

Sinceramente, io provo un certo schifo. Per come vanno le cose da queste parti. E per il tenore di un discorso politico che non riesce a liberarsi da riflessi condizionati più vecchi - persino - di me.

Per evitare di essere iscritto, immagino insieme a Mario Draghi, nel novero dei "cattivi maestri", recito subito la doverosa litania: la violenza non è mai giustificata e va sempre condannata senza se e senza ma. E i violenti vanno isolati e le ragioni della protesta rischiano di essere offuscate ecc. ecc. Ma va? A posto così? Ora possiamo parlare di politica?

Ci provo. Io trovo che nel giudizio e nell'uso che si fa in queste ore delle devastazioni romane di ieri, ci sia il segno del mostruoso ritardo politico e culturale della nostra povera Patria. Prigioniera di uno schema e di un linguaggio nati negli anni '70. Quando io nascevo e quando i protagonisti della vita pubblica attuale iniziavano a fare politica. E, in qualche caso, a tirare le molotov.

Ci sono poche centinaia di violenti, che l'antiterrorismo mostra di conoscere, elencando uno per uno i centri sociali dove si raccolgono e si organizzano. Questi signori arrivano a Roma, armati di spranghe, caschi, esplosivi, bombe molotov. Nessuno li vede, nessuno li ferma. Raggiungono il centro della Capitale della Repubblica e lo mettono a ferro e fuoco.

Ora, in un Paese normale, di fronte a questa devastante dimostrazione di incapacità, accadrebbe una cosa semplicissima. Il Ministro degli Interni, insieme al Capo del Governo, si presenterebbe in televisione. Con voce tremolante e una goccia di sudore che scende dalla fronte, cercherebbe di giustificarsi, di spiegare cosa è andato storto. Illustrerebbe poi quali misure intenda prendere per evitare il ripetersi di un fatto simile. Cercherebbe di argomentare, ma in cuor suo penserebbe: "Ora, cosa diavolo gli racconto a questi qua?"

In Italia, invece, i responsabili della sicurezza e dell'ordine pubblico - gli uomini di governo che hanno il compito di farci vivere tranquilli e al sicuro dalla violenza - protestano contro la violenza di piazza, solidarizzano con agenti di polizia che loro stessi hanno mandato a farsi massacrare nelle piazze, danno la colpa agli avversari. Tutto questo è possibile perché siamo negli anni '70. O meglio, ci sono rimasti loro. Insieme a chi chiede al "movimento" (parola degli anni '70) di "isolare i violenti" (espressione degli anni '70), magari organizzando un adeguato "servizio d'ordine" (come negli anni '70).

Si può dire che è ora di smetterla? Lo diciamo che, anche in Italia, sarebbe il momento di poter manifestare liberamente - come avvenuto ieri pacificamente in un migliaio di piazze nel mondo - senza la minaccia dei "violenti", semplicemente perché lo Stato democratico si occupa di isolarli e di impedire loro di fare danni?

C'è un'anomalia italiana in questa vicenda. La dietrologia è un altro arrugginito arnese degli anni '70. Come lo è però la sua alternativa, cioè la pretesa di raccontare l'Italia come l'unico Paese democratico dove la violenza sarebbe connaturata a qualunque espressione di dissenso politico che venga dai più giovani. Cos'è, un problema antropologico, magari etnico? Ma dico, scherziamo?

Un po' di trasparenza e di onestà intellettuale, insieme alla doverosa assunzione di responsabilità da parte di chi avrebbe il compito di garantire l'ordine pubblico nella Capitale della Repubblica, sarebbero il miglior antidoto a ogni tentazione dietrologica. Lo dico con calma: il Ministro degli Interni, in casi come questo, si dimette. Fine del discorso.

Oppure continuiamo così. E Continuiamo a chiamare ragazze e ragazzi nati all'inizio degli anni '90 - come dieci anni fa quelli nati all'inizio degli anni '80 - a rispondere dei sensi di colpa che la generazione politica dei loro padri, ormai quasi nonni, si porta dietro dai tempi delle molotov, dei servizi d'ordine, delle spranghe, delle P38.

La Domenica delle Salme si sentiva cantare: quanto è bella giovinezza, non vogliamo più invecchiare.

martedì 11 ottobre 2011

Non abbiamo fatto il Pd per questo

L’amico Gianfranco Gazzaniga ha detto la sua nel dibattito “generazionale” che si è aperto da qualche giorno su questo blog. Mi sono permesso di postare il suo commento da facebook, che potete leggere qui.
Franco è persona che stimo. È anche merito suo – che ha fatto per anni il revisore dei conti – se il bilancio del Comune di Novi sta meglio di altri. Anche per questo, l’ho sostenuto nella sua sfortunata avventura da candidato a sindaco di Bosco Marengo. Siamo stati in due ad appoggiarlo apertamente: un alessandrino ex AN – finché il PdL non l’ha fermato – ed io. I nostri, riformisti e massimalisti, sono rimasti a casa. Tutti. Cose che succedono, specie se non fai parte del “cerchio magico”.
Franco fa due ragionamenti: uno riguarda le professioni liberali, l’altro la dialettica interna al Partito Democratico. Il primo è più interessante, sul secondo farò solo un passaggio.
In effetti, sono abbastanza consapevole del fatto che i lavoratori autonomi non sono tutti evasori fiscali e spesso si ammazzano di lavoro. Chi conosce me e la mia famiglia lo dovrebbe immaginare. Né ho mai messo in discussione che molte carriere professionali siano costruite sull’esercizio quotidiano dell’impegno e del sacrificio. Bene, ma non mi spiego perché ogni volta che si discute delle scarse opportunità per i giovani, qualcuno si senta in dovere – e in diritto – di raccontare la propria “gavetta”.
Non stiamo discutendo di questo, quando analizziamo gli spazi inesistenti per i più giovani nel mercato del lavoro e delle professioni. È un dialogo tra sordi, che segna una distanza culturale profonda. E mostra l’inadeguatezza degli strumenti di analisi che la generazione precedente alla mia utilizza per comprendere la società di oggi. In fin dei conti, l’idea è che i giovani non abbiano voglia di sbattersi, “mica come ai nostri tempi…” Talvolta con qualche contorno vagamente new age sul coraggio di innovare e di mettersi in gioco. E tu vagli a spiegare che dieci anni di precariato senza prospettive non sono una “gavetta”, ma si chiamano sfruttamento. E che anche molti giovani professionisti lavorano dodici ore al giorno e pure sabato e domenica, ma guadagnano 400 euro al mese. Vabbé.
Comunque, non esistono professionisti iper-protetti. Salvo i non pochi collezionisti di incarichi dalla pubblica amministrazione. Sia Franco che io ne conosciamo alcuni: commercialisti, avvocati, architetti, ingegneri. A Novi, una volta siamo riusciti a dare qualcuno di quegli incarichi a giovani, senza tessera di partito, da poco entrati sul “mercato” della professione. Qualche giorno dopo, mi fermò per strada un anziano professionista – che stava fermo un giro, in quell’occasione – e mi chiese se doveva prendere “qualche tessera” per avere incarichi che egli riteneva gli spettassero di diritto. Ecco, parlo di questo e di molto altro. Anche di come gli ordini professionali selezionino le rose di candidati da sottoporre agli enti pubblici, quando c’è da fare qualche nomina. Vogliamo discuterne?
Il secondo ragionamento riguarda – ancora – la geografia interna al Pd. Mi si chiede – ancora – se io sia diventato “amico di Bersani”. Ecco, io penso con molta semplicità che D’Alema e il dalemismo abbiano fatto sufficienti danni da augurarci che spariscano alla svelta dalla scena politica. Per questo mi danno del “morandiano”, l’altro giorno addirittura del “migliorista”: una corrente di un partito che è stato sciolto 21 anni fa.
E invece io penso che Veltroni abbia fatto il suo tempo, ormai da un pezzo. Ha avuto la sua occasione, l’ha sprecata facendo il figo di Holliwood che se ne va. Per due volte e non verso l’Africa. Se a questo aggiungiamo lo stato in cui ha lasciato le casse del Comune di Roma, ce n’è abbastanza – dal mio punto di vista – per chiedere che anche lui si faccia da parte.
Si può partecipare al dibattito nel Partito Democratico senza iscriversi a nessuna delle due fazioni? Io spero di sì e cerco, per quello che ne sono capace, di rappresentare le opinioni di chi magari a questo partito nemmeno si iscrive. Forse perché ha capito che la dialettica tra destra e sinistra, d’alemiani e veltroniani, riformisti e quegli altri là dura da trent’anni. Ed è servita – più che altro – a garantire spazio e carriere a chi c’era allora. E continua a esserci oggi. Non abbiamo fatto il Partito Democratico per questo, mi pare.

lunedì 10 ottobre 2011

Idraulici. E avvocati

Il bello di avere un blog è che ti consente, qualche volta ti obbliga, a ragionare sulle cose prima di scriverle. I social network spesso ti fregano, se sei troppo generoso nell’inserire commenti. A questo proposito devo ringraziare Graziano Moro, per aver commentato il mio post precedente con un ragionamento che varrebbe da solo un post (leggi).

Sulla prima parte del ragionamento di Graziano potremmo anche trovarci d’accordo. Ha fatto delle importanti precisazioni, su cosa intenda con “fare l’idraulico” e “mettersi in gioco”. Forse siamo d’accordo anche sul fatto che un avvocato dovrebbe fare l’avvocato, magari in un mercato concorrenziale. Dove pure chi è più giovane possa lavorare, anche se non è figlio di avvocati.

Temo però che a Graziano sfugga ancora un aspetto. Non solo legato alla disponibilità di capitale di rischio per le nuove imprese. E capace di creare un insormontabile problema, di quelli che un tempo avremmo definito di “agibilità”.

Per essere molto chiari, non credo si possa proporre a un giovane di mettersi in gioco, magari cambiando città, se gli affitti sono quelli che ho citato nel mio post, se l’accesso alle professioni e al mondo dell’impresa è bloccato da chi è già dentro (non solo attraverso gli ordini professionali… e NOI in Parlamento ne stiamo istituendo altri, per le professioni paramediche, con la sola opposizione dei soliti Radicali), se il capitale a credito c’è – laddove c’è – solo quando il babbo ha qualche immobile da dare in garanzia.

La questione che sta facendo saltare i nervi a un po’ di persone tra i 25 e i 35 anni è la seguente: negli ultimi venti anni, in Italia, si è verificato un poderoso trasferimento di risorse dalla produzione alla rendita. Parlo della rendita immobiliare e finanziaria. Ma anche delle rendite di chi, essendo garantito, non ha bisogno di produrre in modo efficiente, che sia dipendente pubblico o professionista ipertutelato o pensionato più o meno baby. O forse le risorse non sono state trasferite. Forse sono semplicemente diminuite, ma la riduzione ha pesato soltanto su alcune tasche, non su altre.

Comunque, questo ha coinciso, anche, con un trasferimento di risorse tra generazioni, a danno dei più giovani. Come ho già avuto modo di spiegare, io sono tra i fortunati, che sono arrivati un po’ prima: prima dell’11 Settembre, prima dell’Euro, prima della crisi globale. Infatti, ho un lavoro a tempo indeterminato da 10 anni e mezzo e posso decidere di scegliere la carriera professionale, rinunciando ad altre prospettive.

Anche a proposito delle altre prospettive, Graziano fa alcune considerazioni. Lascio da parte quelle sulle regole, che io faccio e disfo. Le lascio da parte insieme al tentativo – nemmeno troppo dissimulato – di liquidare tutte le mie considerazioni sulla situazione politica locale e nazionale come frutto di “personalismo”. Sappiamo che l’individualismo è il peggior crimine di cui possa macchiarsi un buon militante del Pci e farei un torto a Graziano se lo annoverassi tra i nostalgici di quei metodi. Diciamo solo che resiste, persino in lui, qualche riflesso condizionato. E passiamo oltre.

Io credo, molto semplicemente, che la nostra piccola, minuscola e insignificante vicenda locale sia lo specchio di quanto avviene a livello nazionale. Non faccio la morale a nessuno, non nego a nessuno il diritto di stare in campo e di candidarsi – se lo ritiene – anche a ottanta anni e dopo essere stato sulla cresta dell’onda per sessanta anni. A me pare che tanto vittimismo di chi si sente minacciato dalla spinta rottamatrice sia solo un’efficace variante dialettica sul tema della “lesa maestà”.

Ci sarebbe semmai da riflettere su come il “paradigma” italiano si materializzi in persone tanto provate da una lunga vita di lavoro da scegliere la pensione a poco più di 50 anni, salvo poi essere pronti a dedicare i successivi quindici o vent’anni a fare gli assessori, i consiglieri, i parlamentari. Ma la pensione come occasione per potersi dedicare ad un nuovo lavoro quando si è ancora giovani, avendo la garanzia di una rendita vitalizia, è fortuna che, nella storia d’Italia, tocca ad una sola generazione.

In ogni caso, la questione che pongo – anche qui – è di “agibilità democratica”. L’esistenza di regole, come quella delle primarie, è un prerequisito fondamentale per garantire a tutti la possibilità di partecipare. Ma non è un requisito sufficiente. E se a confrontarsi sono, da una parte persone che fanno politica a tempo pieno da una vita, dall’altra quei ragazzi che passano da uno stage a un contratto a termine da dieci anni, è del tutto evidente che i secondi sono destinati a soccombere. A meno che non abbiano alle spalle qualcuno – una famiglia, una consorteria, una corrente, un padrino – in grado di sostenerli e di proteggerli da rischi ai quali i meno giovani non sono esposti.

A questo dobbiamo anche aggiungere l’atteggiamento, questo sì tutto ereditato dal vecchio Pci, per cui certe cose si possono pensare ma non si devono dire. Perché altrimenti facciamo brutta figura e la gente non ci capisce. Beh, per quanto mi riguarda, io non ritengo di dover nascondere ai quattro gatti che leggono questo blog quello che tutti sanno e di cui tutti parlano. Sarà un atteggiamento da “sfasciacarrozze”, ma almeno non ha il difetto dell’ipocrisia.

Come lo hanno invece le stupidaggini che alcuni fanno circolare a Novi Ligure e non solo sulle ragioni “vere” della mia scelta. Una scelta che è diventata pubblica, semplicemente perché un paio di bravi giornalisti mi hanno fatto una domanda, alla quale ho risposto con sincerità. Per il resto, non faccio la morale a nessuno, ma provo a raccontare la realtà per come la vedo.

sabato 8 ottobre 2011

Bamboccioni a Covent Garden

Il mio amico avvocato, col quale si discuteva di opportunità australiane passeggiando per Covent Garden, segnala su Facebook le preoccupazioni di Mario Draghi per il futuro dei giovani. E dell'Italia, che sono legati.

Se tra le migliori menti economiche italiane siamo passati, in pochi anni, dai "bamboccioni" del compianto Padoa Schioppa a questo, vorrà dire che qualcosa è cambiato. Nei fatti, o forse nella percezione che ne hanno i nostri più bravi economisti.

Matteo Morando, l'avvocato, si è incazzato per la risposta di Graziano Moro. Graziano - che è un caro amico, tanto che ancora mi dicono siamo compagni di "corrente" - ha il merito, rispetto ad altri, di una carriera professionale nell'industria privata. Ha anche lui un blog, ha viaggiato molto. Ora fa l'assessore in Provincia, andrà in pensione, poi vorrebbe fare il sindaco di Novi Ligure. Per chiudere in bellezza, si capisce.

Dice nel suo commento: il problema è che non sappiamo spiegare ai giovani che, con una laurea, si può anche fare l'idraulico o il fabbro. E che i giovani italiani sono schiavi di un paradigma (che parole...): pretendono il posto nel pubblico per assentarsi quando vogliono, non cambiare città e dedicarsi a tutto tranne che al lavoro. Mancano di quello spirito imprenditoriale che serve alla crescita.

Draghi non ha capito niente. Non è questione di opportunità per i giovani. È proprio che non ne hanno voglia. Bamboccioni e accidiosi. Tiè!

Da buon riformista, come mi hanno insegnato fin da ragazzo i riformisti che più riformisti non ce n'è, provo a partire dalla realtà. Guardarsi attorno e capire. Guardarsi attorno e confrontare: i "giovani d'oggi" coi loro genitori.

Mi volto da una parte e vedo menti meravigliose che hanno scelto la scuola - quando ancora si assumevano insegnanti - perché garantiva stipendio e pensione. Vedo  pensionati in tenera età e altri che protestano perché avranno la pensione, addirittura, dopo 36 o 37 anni di lavoro. Vedo carriere politiche fondate su decenni di aspettativa da impieghi ipersicuri nella pubblica amministrazione. Non vedo, tra i padri, questo esercito di coraggiosi innovatori. Non vedo un Enzo Ferrari né un Guglielmo Marconi. Vedo, al massimo, qualche Della Valle o Cordero di Montezemolo. Steve Jobs apparteneva a quella generazione. Ma era americano, non italiano. Occhei?

Mi volto dall'altra parte e vedo ragazzi iperflessibili, che passano da uno stage a un contratto a termine da dieci anni. Che non cambiano città, anche se sarebbe tanto facile, coi loro stipendi poi... a Milano un monolocale a 700 euro più spese, un bilocale a mille più spese. E sei mesi anticipati. Vedo giovani che nemmeno sanno cosa sia un posto di lavoro nel pubblico. Perché non si assume più nessuno. O no?

Ecco, se c'è un paradigma italiano che tarpa le ali alla crescita, ne sono protagonisti i padri, non certo i figli. E ancora continuano a difenderlo, per proteggere sé stessi e l'indifendibile di una società che ha vissuto per trent'anni al di sopra delle sue possibilità. Mangiandosi il pasto di una o due generazioni a venire.

Che poi i padri facciano pure la morale ai figli lascia senza parole.

venerdì 30 settembre 2011

Radicali

Ci mancava solo prendersela coi Radicali. No, dico, come se non ne avessimo già abbastanza di problemi. E come se fosse una mossa intelligente presentare la mozione di sfiducia individuale – di dubbia costituzionalità - a un ministro. Offrendo a Berlusconi un’occasione in più per dimostrare che il suo Governo ha la fiducia del Parlamento.
C’è, nel modo e nei contenuti della polemica contro i parlamentari radicali nel gruppo Pd, un doppio livello di ipocrisia. Che mi fa un po’ impressione. I Radicali si sono astenuti nel voto di sfiducia al Ministro Romano e hanno spiegato chiaramente il perché. Si può non condividere, ma non è lecito far finta di non capire, soprattutto sapendo di cosa si sta parlando: le carceri, le tragedie che vi si consumano ogni giorno, le condizioni di vita disumane al loro interno.
I Radicali – forti di un appello del Capo dello Stato sull’argomento – hanno chiesto e ottenuto un dibattito al Parlamento sulla situazione delle carceri italiane. Propongono l’amnistia, per alleggerire la situazione. Si può essere d’accordo o meno. Si possono avere opinioni diverse su come affrontare l’emergenza carceri. Ma è obbligatorio, per qualunque forza politica, averne una, che sia credibile e confrontata con la realtà. Esistono carceri – dice la commissione che le ha visitate – dove sei uomini vivono in otto metri quadrati e possono fare la doccia una volta alla settimana: sei uomini adulti, che non si lavano da sei giorni, chiusi in una stanza di otto metri quadrati. Poi ci sono i tossicodipendenti, una fetta importante dei detenuti italiani, e i malati. E ci sono quelli che non ce la fanno e si ammazzano. Di fronte a una situazione del genere, uno Stato serio, o costruisce le carceri che mancano nel giro di qualche mese o li fa uscire. C'è poco da discutere.
“Dalla galera non si esce dottori – recitava un indimenticabile Gian Maria Volontè – al massimo si esce rapinatori di banche!”. Dopo quarant’anni siamo sempre lì. E la Costituzione, con la funzione di recupero sociale della pena, non entra nei luoghi di detenzione. Ma in Parlamento, la discussione promossa dai Radicali è stata snobbata: pochi presenti e nessuna proposta alternativa ad un’amnistia bocciata da tutti.
I Radicali, che non sono teneri ma nemmeno “indipendenti di sinistra”, se la sono presa a male e hanno colto un’occasione forte, sul piano mediatico, per farlo sapere. Anche perché ormai nessuno se li fila più, nemmeno quando fanno lo sciopero della fame e della sete.
Fare finta di non sapere il perché e il per come di questa presa di posizione è il primo livello di ipocrisia nel discorso politico di questi giorni. Ma ce n’è un secondo. Oh dico, non vorrete mica raccontarmi che il problema sia davvero la battaglia sull’amnistia e che l’atteggiamento del Pd nasca dall’esigenza di non litigare coi giustizialisti dell’Idv? Cerchiamo di non essere ridicoli.
A muovere guerra contro l’anomalia radicale in seno al Pd sono i “cattolici”, ma non solo loro. In nome di un’alleanza col “centro” che impone di mettere all'angolo tutte le posizioni “eccentriche”, specie se riguardano le libertà e i diritti civili. La questione – come ha magistralmente dimostrato D’Alema in una recente intervista – viene trattata col piglio del burocrate di partito di fronte ai “movimenti”. Un riflesso da anni ’70 che distingue tra le cose davvero importanti, di cui deve occuparsi chi governa il Paese, e quelle che fanno colore, ma scaldano gli animi di qualche minoranza. Il matrimonio per i gay, il libero accesso alla fecondazione assistita (senza viaggi della speranza) e tante altre questioni rientrano tra le seconde. Punto.
Oggi a fare le spese di questo strategismo democratico sono i Radicali. Presto saranno altri, a partire da chi si batte perché l’Italia non rimanga indietro rispetto all’Europa sul tema dei diritti civili.
Si preparano tempi duri. E a me ancora rimproverano di fare una battaglia generazionale: non ho rispetto per gli anziani. Anche se poi mi trovo a difendere un ottantenne come Marco Pannella dalla ferocia di burocrati sessantenni.

P.S.: lo chiedo con deferenza, per favore nessuno mi venga a spiegare che l’alleanza coi Radicali è stato l’ennesimo errore di Walter Veltroni. Non è stato un errore, ne ha fatti altri. Ecco, astenersi perditempo.

giovedì 29 settembre 2011

In coda alla Slunga

Forse ho trovato casa. Forse e non sarebbe male, in meno di un mese. Dunque, incrociate le dita per me e auguratemi un bel contratto firmato come regalo di compleanno.

A fronte di questo indubbio successo, ieri ne ho fatto una che neanche il Ragazzo di Campagna. Ma insomma, chi di voi sa che alla Slunga di viale Rubattino ci sono casse dove devi arrivare col conto giá fatto, con un lettore di codici che ti porti in giro? E che alla cassa veloce, se son più di dieci pezzi, anche uno solo in più, ti cacciano e poche storie? Vabbé, ho cambiato cassa due volte. In compenso, finora non mi sono mai perso. Evvai! E viva l'Iphone.

Ci sono due notizie questa settimana che riguardano le "dimissioni". Date e non date. Non parlo di Berlusconi, che è inchiostro sprecato, per quanto virtuale.

Non si è dimesso Tremonti, come vogliono molti dei suoi. Ma non solo loro. Non si è dimesso nemmeno dopo la figura da "coniglio" (cit.) rimediata il giorno del voto su Milanese. È andato al G20, invece che alla Camera. E ha discusso di quelle robe che il G20 ha poi deciso, evitandoci un'altra settimana di crolli in borsa. Ecco, ho pensato che fin quando non si dimette Berlusconi, è tutto di guadagnato se non lo fa nemmeno Tremonti. E forse dovremmo dirlo.

Invece, le dimissioni le ha date Vignali, sindaco di Parma, travolto dalla tragedia dei conti del suo comune e da qualche inchiesta per corruzione che coinvolge assessori e dirigenti. Dimettendosi, rende un ultimo servizio alla sua città: il dissesto finanziario - con tutte le sue conseguenze, fiscali e non - potrà dichiararlo il commissario prefettizio. Evitando ai politici, quelli che ci sono e quelli che verranno, l'imbarazzo di farlo. E la tentazione di non farlo.

Pensavo che, in fin dei conti, tutte le accuse, che sono accuse e non sentenze e esiste la presunzione di innocenza... Ecco, tutte le accuse di corruzione che volete non ne valgono una per 'ndrangheta, anche se rivolta ad una ruota qualunque del carro. A un qualunque consigliere comunale, per dire. Se poi pure i conti sono a pallino, forse... Forse qualche mese di commissario, per mettere un paio di punti fermi, potrebbe far bene anche ad altre città. Anche per togliere dall'imbarazzo o dalla tentazione... Vabbé, ma poi io non sono mica di Alessandria. E nemmeno insegno all'università. Meglio che stia zitto.

A proposito di conti, qualche soddisfazione ce la siam presa, noi del MarMo... Che, per dovuta chiarezza, sta per Marubbi&Moro (Roberto). E non ha niente a che spartire col concetto di "marmoreo" di cui tratta diffusamente la mia autrice preferita nella prestigiosa opera. In soldoni - meglio, in soldini, visti i tempi - dopo nove mesi dall'inizio dell'anno, i conti del Comune di Novi tornano. E non è poco. Speriamo di continuare così, che ce n'è tanto bisogno.

lunedì 19 settembre 2011

Il Governo Ataturk

Ieri ho letto le opinioni di un “giovane turco”. Uno di quelli che stanno nella segreteria nazionale del Pd e che da un anno sostengono di fare la rivoluzione. Da quello che dicono e non dicono, sembra vogliano farla contro Walter Veltroni. Che non è proprio l’Impero Ottomano. Ma si sa, in fondo anche quello era bollito da un pezzo quando i seguaci di Kemal lo tirarono giù, per poi prendersela con gli Armeni.
La fondamentale intervista mi è arrivata via mail. Ufficialmente, dal Pd di zona di Novi Ligure. Tra le molte imprescindibili prese di posizione delle ultime settimane, questa deve avere qualcosa di speciale per essere stata scelta e diffusa con tanta ufficialità. D’altronde, parla un membro della segreteria nazionale e titola sul “Governo Bersani”.
Sul piano economico il ragionamento è lo stesso da tempo: basta cedimenti al pensiero unico liberista. Torniamo a fare la sinistra, che a fare i moderati ci penseranno altri. Sembrano Mussi, ma stavolta c’è qualcosa di più. E sta proprio nell’evocazione del futuro “Governo Bersani”.
Se mai ce ne sarà uno, ovvero se vinceremo le elezioni quando ci saranno, essendoci alleati con l’Udc, che avrà accettato la premiership proprio del segretario Pd, ma non con l’Idv, che nel frattempo sarà sparita dalla scena politica. Ecco, se succederanno tutte queste cose altamente probabili, il “Governo Bersani” dovrà avere dei nuovi ministri. Non quelli compromessi con le politiche neoliberiste degli scorsi anni.
Qui i casi sono due e non saprei dire quale sia più inquietante.
Può essere che stiano mettendo le mani avanti. Forse qualcuno pensa davvero di tornare a Palazzo Chigi e rimettere in pista i ministri dell’ultimo Governo Prodi? C’è poco da ridere: i “giovani turchi” stanno a Roma e sono bene informati. Se parlano, un motivo ci sarà.
Oppure, può darsi che si stiano candidando. E ce ne sono tutti gli indizi, compreso il tono di sufficienza che riservano a gente come Matteo Renzi: Caro Bersani, noi siamo come i nostri padri nobili, quelli che si “iscrissero giovanissimi alla direzione nazionale del Pci”. Non rottamiamo nessuno. E se ci porti al governo, noi non faremo casino.
Si potrebbe argomentare ancora a lungo, su quanto l’Italia abbia bisogno di un programma economico da old style socialdemocrats. E su quanto profumi di “Gioiosa macchina da guerra” questa idea che, tolto di mezzo Berlusconi, la strada sarà spianata per il “Governo Bersani”.  Ma mi pare ce ne sia abbastanza.

venerdì 16 settembre 2011

Scusate il ritardo

Scusate il ritardo. Non ho avuto molto tempo, tra la ricerca di un posto dove vivere e qualche viaggio avanti e indietro. Fai un bel po’ di tangenziale e tutta la Milano-Serravalle e ti chiedi se sei scemo tu, che il massimo della manovra o dei giochetti su quell’autostrada è fermarti per pagare il pedaggio. Vabbé, meglio lasciar perdere.
Anche perché, parli con chiunque e capisci una cosa sola: la finanziaria fa schifo a tutti. Ed è una tragedia.
Che non piacesse a nessuno c'era da aspettarselo. Se devi  "trovare" 40 miliardi e qualcosa  è difficile che la gente, poi, sia contenta. E poi siamo in Italia, dove non è certo facile accontentare la “gente”. Ma c'è qualcosa di più: nessuno ci crede, nessuno si fida. Molti pensano che non risolverà il problema. E questo dice qualcosa sull'opinione che i cittadini hanno, ormai, della politica.
Però la manovra è anche una tragedia. Per quello che c'è, ma soprattutto per ciò che manca. Diciamo una cosa semplice: se aumenti le tasse, deprimi la crescita, anche se riduci il deficit. Ma ridurre il deficit o anche azzerarlo non fa diminuire il debito pubblico. E se diminuisce il Pil, cioè la crescita - a parte le altre implicazioni non proprio entusiasmanti - aumenta il rapporto tra debito e Pil: esattamente ciò che ci tira addosso la speculazione.
Questo circolo vizioso funziona qualunque tassa aumenti. Dovresti invece diminuire la spesa. E qui vengono i problemi, perché il partito della spesa ha le iscrizioni sempre aperte. Ed è del tutto bipartisan.
In effetti, nonostante gli sforzi di alcuni a partire dal mio amico Enrico Morando con la sua battaglia in parte vinta sulla spending review, la discussione di questi giorni si è concentrata su quali tasse aumentare. Non è questione da poco, specie se aumentano l'Iva invece di tassare i mega patrimoni di chi non ha mai pagato le tasse. Non è questione da poco, ma non basta. Soprattutto se la situazione è tanto tragica.
Tagliare la spesa e liberare l'economia. Sono questioni sulle quali si incrociano i due principali problemi della politica italiana: rimettere in ordine i conti senza ammazzare l'economia e recuperare un po' di credibilità agli occhi dei cittadini.
Perché quando si parla - davvero - di risparmiare e di fare le liberalizzazioni, si tocca un nervo scoperto. Che fa male a chi deve rinunciare a qualcosa, ma prima ancora a chi non sta nell'elenco dei privilegiati. A chi da una pubblica amministrazione grande, grossa e inefficiente non ha nulla da guadagnare.
Lo dico da un pezzo: conta sino a un certo punto quanto si spenda per la casta: i vitalizi, gli stipendi d’oro, i privilegi. Questo rende meno credibile, talvolta odiosa, la politica. Ma ciò che è più grave, questa situazione produce e mantiene in vita un sistema inefficiente, che spreca molto di più di quanto non guadagni chi lo dirige. E blocca lo sviluppo.
Ho letto un’analisi sulla miriade di aziende pubbliche locali. Che al Sud si distinguono per spese di personale spropositate. E al Nord sono invece capaci di moltiplicare le poltrone e i conseguenti gettoni. E ho letto i numeri di un sistema pensionistico che - semplicemente - non si regge in piedi. Ma nessuno lo dice. Si potrebbe continuare l'elenco. Una teoria di disgrazie e mancati rimedi che vale per tutto. E per tutti. Bisogna piantarla lì. Spendere meno e dare al mercato - non quello cattivo degli speculatori, ma quello buono di quei matti che ancora provano a produrre qualcosa in Italia - un po' di respiro.
Sarà capace il Pd a fare una proposta del genere? E soprattutto, sarà capace di farla vivere nelle opinioni e nei comportamenti di tutto il suo gruppo dirigente, a livello nazionale come locale? Guardando come viene trattato l’argomento, ho i miei forti dubbi. Tutto va bene e tutto fa brodo per criticare la manovra. E questo è fin comprensibile. Ma il faro è e resta sempre lo stesso: la spesa non va ridotta. Si tratti di comuni, di province, di pensioni, di ospedali, di tribunali, di società pubbliche o di qualunque altra cosa. La spesa non va ridotta. L’accusa di tagliare per “fare cassa” resta la critica più ripetuta e lapidaria che venga mossa, non solo a questa manovra, ma a qualunque proposta di riduzione della spesa pubblica.
Penati o non Penati, se non affrontiamo questo problema, arriveranno davvero i poteri forti. Diranno di avere la ricetta pronta per cambiare l’Italia e spazzeranno via tutto, sia il cattivo che il buono della politica e dei partiti.

domenica 4 settembre 2011

Ragazzo di Campagna

Mi stupisco a vedere gente che ti lava la macchina nel parcheggio, mentre fai spesa. E pizzerie, con specialità paella, gestite da cinesi. Altro che barberie e negozietti. Com'è grande la città... Un po' mi sento Pozzetto nel Ragazzo di Campagna. E speriamo che chi dico io non mi chiuda mai su qualche terrazzo, che intanto le piante non so curarle. E che poi piove.

Tornato al paese, sono andato a dare un'occhiata alla festa democratica provinciale. Piccola, ma sempre bella e ci si mangia bene. Guardate che non è poco. Io li conosco da qualche tempo quelli che ci lavorano. Se c'è ancora qualcosa di "diverso" in questo Pd, sono proprio i militanti. Certo, è una forza che può servire anche alla conservazione, specie se ti impegni molto a usarla per quello. Ma è gente che vive nel mondo. E mi paiono un po' spaesati, come lo sono io.

E ti chiedono perché il Partito fa tante storie per lo sciopero della Cgil. E perché tutti parlano - solo - di province e comuni. E perché questa legge elettorale che fa schifo non proviamo a cambiarla col referendum.

E in fin dei conti, nessuno te lo dice, ma molti si domandano se non siamo anche noi uguali agli altri. Mi ricordo che ero un ragazzino e partecipavo a una riunione alle Frattocchie il giorno che venne arrestato Primo Greganti. C'era un po' di sconcerto. Il giorno dopo, Achille Occhetto ci spiegò, balbettando un poco, che noi eravamo diversi. Ebbe ragione. Sarà cambiato qualcosa, da allora? Vedremo.

Comunque, mi dicono che l'altra sera in molti firmavano per il referendum anti-porcellum. Non per la class action contro i giornalisti che parlano male del Pd. Ecco, due modi diversi per affrontare lo stesso problema. Quello di un partito che molti vorrebbero "diverso" per le proposte che fa. E per un modo credibile di proporsi come alternativa.

Cambiare la legge elettorale, abolire ogni privilegio di casta, semplificare davvero la macchina pubblica. Proporre quello che gli altri agitano per propaganda. E farlo portandosi dietro la forza di questo grande Partito. È così difficile farlo? È cedere all'antipolitica?

Facciamo che è doloroso, un cambiamento che tocca interessi consolidati. Ma per favore, non spacciamo la conservazione dell'esistente per difesa della democrazia. I partiti, che sono fondamentali per la democrazia, si difendono cambiandoli, quando serve. Soprattutto quando non ci sono alternative, se non quella di chiudersi nel proprio fortino sperando che la bufera passi.

Francamente, temo che senza questo, il resto siano stupidaggini.

P.S.: ci sono tornato ieri alla festa. Un metalmeccanico aveva bisogno di una mano. Ho fatto i caffè, ma non è una notizia, per due ragioni. La prima è che lo faccio da 23 anni. La seconda è che altri lo fanno da più tempo, ma solo perché sono nati prima. Però non è questo il problema. E nemmeno la soluzione.

martedì 30 agosto 2011

Che l'inse

Ieri un’amica ha messo su Facebook un post molto semplice. Suona più o meno così: “non conosco una persona tra i 25 e i 35 anni con un lavoro decente e tutti si preoccupano dei piccoli comuni”. Una trentina tra “mi piace” e commenti positivi in poche ore. Che l’inse.

Emblematico. I cambiamenti apportati alla manovra soddisfano le richieste di due categorie: i calciatori di serie A, che non pagheranno il contributo di solidarietà e forse torneranno a giocare; i sindaci dei piccoli comuni, che non spariranno.

Spariranno invece le province e metà dei parlamentari. Ma solo con una legge costituzionale che verrà presentata e discussa, prima o poi, in Parlamento. Sull’abolizione delle province, hanno votato una proposta di legge qualche settimana fa, bocciandola. E comunque, puntuali come un riflesso pavloviano, già si levano alte le voci di protesta. Sul numero dei parlamentari, visto che ormai sono tutti d’accordo, immagino dovremo aspettare pochi giorni al massimo per il primo voto favorevole. O no?

Comunque, per ora, sono salvi i comuni sotto i 1.000 abitanti e i redditi sopra i 90.000 euro. E mentre si consuma questo nuovo capitolo della tragedia italiana, c’è qualcuno capace di spiegare alla CGIL che non dovrebbe fare sciopero. In pratica, il principale sindacato italiano, se ritiene che la manovra contenga scelte dannose per i propri iscritti, dovrebbe fare buon viso a cattivo gioco. Per la concordia nazionale. Per il bene del Paese.

Mentre va tutto bene e meritano anzi universale solidarietà i rappresentanti dei cittadini che scendono in piazza, con tanto di fascia tricolore, contro l’accorpamento dei mini-municipi. Per “difendere la democrazia” hanno fatto una “Marcia su Roma”… Anche le parole non hanno più alcun significato.

Può darsi che mi sbagli, ma temo che un po’ di Italiani si stiano arrabbiando, convinti che chi fa politica sia capace di attivarsi solo per difendere i propri privilegi e le proprie poltrone. E che la già scarsa fiducia nella classe politica stia sparendo del tutto. È da amici dell’antipolitica dire questa cosa? O non è invece il rendersi conto della situazione e il comportarsi di conseguenza l’unico antidoto al prevalere dell’antipolitica e della demagogia?

Io penso che lo sia. E mi auguro che, in un sussulto di ragione, si metta davvero mano alla macchina pubblica italiana. Alla sua pletorica organizzazione, al numero spropositato di poltrone e poltroncine, agli sprechi ed alle clientele. Dovrebbe suggerirlo la gravità della situazione. Dovrebbe imporlo, se non altro, il rischio che tutto il sistema crolli sotto il proprio peso.

A proposito di credibilità della politica e dei politici, penso da tempo che l’attuale legge elettorale sia una delle più clamorose mostruosità che siano mai state partorite – e mantenute in vigore… – da una classe politica. Hanno provato a spiegarmi per quindici anni che il maggioritario non va bene, perché non ha garantito la “governabilità”. Ora che il "proporzionale alla porcella" ci ha regalato il “governo” dell’Unione e quello di Scilipoti, cos’altro diranno per convincermi?

Non lo so e non mi interessa. Io mi metto a raccogliere le firme. Per tornare al Mattarellum: collegi uninominali e maggioritario a turno unico. Chi vota, sceglie il parlamentare e il governo. Punto.

lunedì 29 agosto 2011

Mariuoli, vent'anni dopo

Non volevo parlare di Sesto San Giovanni. Ma lo fanno tutti ed è giusto non sottrarsi. Specie se da quelle parti ci passerai presto molto tempo.

Non mi appassiona la discussione sulla prescrizione. Se Penati debba rinunciare e farsi processare, o no. Fatti suoi. Che dovrebbe dimettersi anche da consigliere regionale l'ho detto da tempo. Non lo fa e non glie lo chiedono. Pazienza.

Per me il problema è politico. E riguarda come si gestisce la cosa pubblica. Quali rapporti si tengono con gli imprenditori (edili), come si governa il territorio. Ha a che fare con la visione della politica e degli affari, con la modernità per come l'abbiamo intesa e praticata - e propagandata - negli ultimi vent'anni.

Penati non è stato solo l'uomo forte della segreteria di Bersani. Del quale immagino verranno presto chieste le dimissioni. In quella logica da "guerra per bande" che ormai, sola, tiene in piedi il gruppo dirigente del Pd. Tutto.

Penati è stato per lungo tempo il simbolo vivente dell'atteggiamento moderno che avrebbe dovuto farci riconquistare la Lombardia. E il Nord. Era la modernità degli ex comunisti convertiti al mercato senza mercato. Alla confusione tra la libertà d'impresa e l'andare d'accordo con chi costruisce case. Si è pensato per molto tempo che questo fosse il metodo giusto, anzi l'unico, per governare realtà complesse e confrontarsi con gli interessi economici presenti nella società. E per "battere le destre" nelle loro roccaforti settentrionali.

Insomma, un metodo di governo e un sistema di potere. Persino una forma mentis, che ha segnato il modo di pensare e di governare di una parte cospicua del Pds-Ds-Pd. Che lì in mezzo ci fossero anche dei mariuoli, importa pochissimo. Come sapere se e quante banconote avesse in tasca Mario Chiesa vent'anni fa, quando fu arrestato. Non è questione di mariuoli, come non lo era allora. È un problema politico. Appunto.

Parlando di politica, oggi al Nord e a Milano le elezioni le abbiamo vinte. Con un candidato che con quell'idea di modernità c'entra niente. Uno che, nella visione post-comunista, veniva considerato "sfigato". Antico, in ogni caso perdente.

Oggi Stefano Boeri, che di Pisapia fa il vice, invoca una "rigenerazione" del Pd milanese. Quello lui conosce. Io penso che serva a tutto il partito. Non per cacciare i ladri. E nemmeno per cambiare il segretario o chi comanda a Roma. Per cambiare tutto, prima che siano gli eventi a cambiare il nostro piccolo mondo. E a spazzare via le certezze di chi sta tranquillo da quarant'anni.

Tra Mario Chiesa e la fine del Psi trascorse un anno. Ed erano tempi migliori di questi.

venerdì 26 agosto 2011

Botteghe Oscure reloaded

Veltroni ha scritto a Repubblica. Non so quanti se ne siano accorti, ma ha scritto. Ho pensato di doverlo leggere. E l'ho fatto, persino superando senza incazzarmi le prime cento righe.

Dove ti spiega che vent'anni fa non c'erano i computer nelle case. E che tutti facevano gli operai. E che le rivolte arabe sono quasi un '68, ma non altrettanto fighe. E che alla fine, o c'è il riformismo o l'involuzione autoritaria. E che servono i pensieri lunghi. Altro che le semplificazioni linguistiche della rete: "pollice in su o in giù". Sembra una di quelle catene che girano in rete... "Noi che usavamo i gettoni e le audiocassette, che ci sbucciavamo le ginocchia ecc." Favolosi anni '80!

Ecco, se riesci a superare le prime cento righe, poi arrivano le proposte. Che, potrebbe sembrare una buona notizia, non sono granché diverse da quelle del Pd. Perché farle allora? Mah.

Una grande riforma della pubblica amministrazione, la valorizzazione del patrimonio pubblico, dimezzare subito il numero dei parlamentari, combattere l'evasione fiscale e un nuovo patto per il lavoro.

Ecco, ottime idee. Ma mi resta un timore. Ho l'impressione che le folle non stiano accorrendo per acclamare la nuova proposta riformista. Così come non accorrono a votare per il Pd. Ci dev'essere qualcosa che non va.

Forse dipende dalla credibilità di chi presenta la proposta. Forse perché un cittadino qualunque potrebbe chiedersi e chiedere, ad esempio, come mai la riduzione dei parlamentari non l'abbiamo fatta finora. O la semplificazione dell'elefantiaca macchina amministrativa. O la giustizia più rapida, il voto agli immigrati, i diritti dei gay. Finora, quando eravamo al governo. E Veltroni ci è stato. Come Bersani. Come D'Alema. Come tutti, del resto.

Forse il problema non è la proposta. Ma chi la fa. E forse, dopo Bossi e Berlusconi, chi vorrà qualcosa di nuovo andrà a cercarlo altrove. Come già succede, a guardare i sondaggi. Ma va?

E intanto noi stiamo qui a discutere con lo schema del '94. quando Berlusconi vinse per la prima volta e il Pds si divise su D'Alema e Veltroni. E se uno parla di Penati gli rispondono "Calearo".

E se uno, per essere al passo coi tempi, ti spiega quanto fosse riformista un partito sciolto 21 anni fa, gli altri fanno una cosa e la chiamano "Frattocchie 2.0". Che io ci ho pure dormito un paio di volte a Frattocchie. E infatti non sono più di primo pelo.

Botteghe Oscure reloaded. Ma si può?

in viaggio con Manubrio