venerdì 5 ottobre 2012

Yoani e noi


Yoani Sánchez ha la mia età. È nata 29 giorni prima di me, probabilmente in uno dei famosi, ben funzionanti ospedali di L'Avana. 

Il fatto è che a questa donna – blogger, dissidente, da ieri prigioniera politica – a me capita di pensare spesso. A lei e a quel paradiso caraibico che molti faticano ancora a definire per quello che è: un paese disgraziatamente schiacciato da una dittatura vergognosa e infame.

Il fatto, a dirla tutta, è che in questa mia coetanea mi capita spesso di specchiarmi. Vengo da una famiglia comunista, da un ambiente comunista. Ho avuto un'infanzia comunista. C'era il mito di Cuba, quello di Fidel Castro solo contro il Golia americano, quello ancora in voga del Che rivoluzionario globetrotter.

Quei miti hanno resistito a tutto, anche alla fine ingloriosa del socialismo reale. Ancora oggi, sembra difficile poter dire una parola semplice, chiara, definitiva sulla tirannia castrista: manca la libertà, ma ci sono gli ospedali. Manca la libertà, ma mancava di più nel Cile di Pinochet. Manca la libertà, ma gli Americani... E insomma, manca la libertà, ma pazienza.

Se ti domandi il perché di questa persistenza del fasullo mito cubano rispetto ad altre pagine del comunismo, qualche risposta arriva facile. A partire dal fatto che una vacanza sull'isola sia di gran lunga preferibile ad una settimana a Minsk o a Kiev: il sole, le aragoste, la musica, i sigari... e anche quell'altra cosa, che c'era ai tempi di Batista e c'è di nuovo. E che rende Cuba una meta turistica tanto desiderata, non solo dai nostalgici del socialismo reale.

Ma c'è qualcos'altro, che temo abbia a che fare con una certa incapacità a fare i conti – davvero – con la Storia. Quella che ha sancito, non la sconfitta di un sistema politico, ma la sua brutale inadeguatezza a garantire un minimo di speranza e di felicità ai popoli sfortunati che lo hanno incontrato sulla loro strada. Il sole, le aragoste e la musica sono oggi la triste cartolina ricordo di un “comunismo buono” che non è mai esistito, almeno al governo di qualche paese.

Chi, come me, ha l'età di Yoani ed è cresciuto in una famiglia comunista, ha dovuto fare un percorso – che definirei culturale, se volessi darmi delle arie – per uscire da quel mito, soprattutto nella versione soleggiata e rassicurante dei Caraibi. Chi, come me, ha fatto quel percorso, sente pungere il dolore dell'ingiustizia che donne e uomini come Yoani subiscono da quando erano bambini.

Ora che il tiranno moribondo l'ha messa in galera, spero che quel dolore lo sentiamo tutti.

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