martedì 9 ottobre 2012

Quelli che... si dimettono

Poi ce l’hanno con me, che le province le voglio abolire.

Dunque, la notizia del giorno sono le dimissioni a catena dei presidenti di provincia: Asti, Biella, Milano, Napoli… e l’elenco si allungherà. L’accorpamento degli enti più piccoli – con tutto il codazzo di recriminazioni e polemiche da strapaese che lo accompagna – e la nascita delle città metropolitane sono le motivazioni presentabili di queste scelte. Col buon peso dei tagli governativi, che rendono “impossibile continuare l’attività”, mettono “in discussione i servizi”, “a rischio i posti di lavoro”.

La verità, purtroppo, è un’altra. Meno nobile e più inconfessabile: i presidenti si dimettono per potersi candidare alle prossime elezioni politiche. In qualche caso, per potersi ri-candidare, perché la legge impone le dimissioni anticipate – in questo caso, entro domani – a chi fa il sindaco o il presidente di provincia per poter correre alla Camera o al Senato. Ma non vieta a un deputato o senatore di candidarsi a presidente di provincia e, persino, di restare in Parlamento una volta eletto nell’ente locale. D’altronde – sia detto a vantaggio degli amministratori locali “puri” – le leggi le scrivono i parlamentari. Così, ci sono presidenti di provincia che già siedono in Parlamento e vorrebbero restarci. Altri che, ridotto o azzerato il loro ruolo amministrativo, vorrebbero andarci.

In ogni caso, i presidenti si dimettono, raccolgono le loro cose e salutano. Salutano gli assessori, tanto numerosi quanto spesso impegnati su deleghe che con le competenze delle province c’entrano niente. Salutano i consiglieri provinciali, anche quelli che contavano sui rimborsi spese per andare alla sagra della fagiolana. Salutano i dipendenti, quelle migliaia di lavoratori sui cui timori e preoccupazioni i presidenti hanno costruito mesi di polemiche e lamentazioni verso Roma. Li salutano e li lasciano soli di fronte a un futuro incerto.

Qualcuno ha creduto davvero che la difesa dell’ente provincia, della sua organizzazione e delle sue competenze, delle sue strutture e sovrastrutture politiche, rispondesse a ragioni diverse dalla conservazione del ruolo e del potere dei suoi amministratori? Beh, se qualcuno lo ha creduto, si è sbagliato.

Ora che il tempo stringe, i politici di provincia si sfilano e sperano nel grande balzo verso Roma. Fosse vero un 10% delle tragedie che hanno evocato nei mesi scorsi per i territori da loro amministrati, per la coesione sociale, per il personale dipendente degli enti interessati… Ecco, fosse vero il 10% delle disgrazie che hanno previsto come certa conseguenza della riforma voluta dal Governo, dovrebbero sentire il dovere assoluto di restare al loro posto, sino all’ultimo giorno, per gestire l’emergenza e salvare il salvabile.

Invece se ne vanno. E dimostrano che l’unica cosa davvero da salvare è la loro, personale, carriera politica.

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