domenica 16 ottobre 2011

La Domenica delle Salme

Sinceramente, io provo un certo schifo. Per come vanno le cose da queste parti. E per il tenore di un discorso politico che non riesce a liberarsi da riflessi condizionati più vecchi - persino - di me.

Per evitare di essere iscritto, immagino insieme a Mario Draghi, nel novero dei "cattivi maestri", recito subito la doverosa litania: la violenza non è mai giustificata e va sempre condannata senza se e senza ma. E i violenti vanno isolati e le ragioni della protesta rischiano di essere offuscate ecc. ecc. Ma va? A posto così? Ora possiamo parlare di politica?

Ci provo. Io trovo che nel giudizio e nell'uso che si fa in queste ore delle devastazioni romane di ieri, ci sia il segno del mostruoso ritardo politico e culturale della nostra povera Patria. Prigioniera di uno schema e di un linguaggio nati negli anni '70. Quando io nascevo e quando i protagonisti della vita pubblica attuale iniziavano a fare politica. E, in qualche caso, a tirare le molotov.

Ci sono poche centinaia di violenti, che l'antiterrorismo mostra di conoscere, elencando uno per uno i centri sociali dove si raccolgono e si organizzano. Questi signori arrivano a Roma, armati di spranghe, caschi, esplosivi, bombe molotov. Nessuno li vede, nessuno li ferma. Raggiungono il centro della Capitale della Repubblica e lo mettono a ferro e fuoco.

Ora, in un Paese normale, di fronte a questa devastante dimostrazione di incapacità, accadrebbe una cosa semplicissima. Il Ministro degli Interni, insieme al Capo del Governo, si presenterebbe in televisione. Con voce tremolante e una goccia di sudore che scende dalla fronte, cercherebbe di giustificarsi, di spiegare cosa è andato storto. Illustrerebbe poi quali misure intenda prendere per evitare il ripetersi di un fatto simile. Cercherebbe di argomentare, ma in cuor suo penserebbe: "Ora, cosa diavolo gli racconto a questi qua?"

In Italia, invece, i responsabili della sicurezza e dell'ordine pubblico - gli uomini di governo che hanno il compito di farci vivere tranquilli e al sicuro dalla violenza - protestano contro la violenza di piazza, solidarizzano con agenti di polizia che loro stessi hanno mandato a farsi massacrare nelle piazze, danno la colpa agli avversari. Tutto questo è possibile perché siamo negli anni '70. O meglio, ci sono rimasti loro. Insieme a chi chiede al "movimento" (parola degli anni '70) di "isolare i violenti" (espressione degli anni '70), magari organizzando un adeguato "servizio d'ordine" (come negli anni '70).

Si può dire che è ora di smetterla? Lo diciamo che, anche in Italia, sarebbe il momento di poter manifestare liberamente - come avvenuto ieri pacificamente in un migliaio di piazze nel mondo - senza la minaccia dei "violenti", semplicemente perché lo Stato democratico si occupa di isolarli e di impedire loro di fare danni?

C'è un'anomalia italiana in questa vicenda. La dietrologia è un altro arrugginito arnese degli anni '70. Come lo è però la sua alternativa, cioè la pretesa di raccontare l'Italia come l'unico Paese democratico dove la violenza sarebbe connaturata a qualunque espressione di dissenso politico che venga dai più giovani. Cos'è, un problema antropologico, magari etnico? Ma dico, scherziamo?

Un po' di trasparenza e di onestà intellettuale, insieme alla doverosa assunzione di responsabilità da parte di chi avrebbe il compito di garantire l'ordine pubblico nella Capitale della Repubblica, sarebbero il miglior antidoto a ogni tentazione dietrologica. Lo dico con calma: il Ministro degli Interni, in casi come questo, si dimette. Fine del discorso.

Oppure continuiamo così. E Continuiamo a chiamare ragazze e ragazzi nati all'inizio degli anni '90 - come dieci anni fa quelli nati all'inizio degli anni '80 - a rispondere dei sensi di colpa che la generazione politica dei loro padri, ormai quasi nonni, si porta dietro dai tempi delle molotov, dei servizi d'ordine, delle spranghe, delle P38.

La Domenica delle Salme si sentiva cantare: quanto è bella giovinezza, non vogliamo più invecchiare.

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