domenica 5 maggio 2013

C'è da essere scemi

Leggo in giro che qualcuno sta pensando a un congresso "chiuso" per il Pd. Quando la proposta è tanto grave - e inverosimile - la fantasia dei commentatori va a ruota libera. 

Si parla di un congresso per soli iscritti, di "tessera del tifoso" per eleggere il segretario. Qualcuno dice che voteranno solo gli iscritti 2012 (e non quelli che a fine anno furono caldamente consigliati di aspettare le "tessere nuove" per aderire...). Altri si spingono a ipotizzare un "congresso per tesi". Se non sapete cosa vuol dire, non ve lo spiego... Intanto sono sicuro che un "congresso" del genere non interessi a nessuno.

Pacatamente, dico: per pensare di affrontare così la tragedia in cui si è infilato il Pd, c'è da essere scemi. Oppure, c'è da essere tanto accecati dalla paura, dal risentimento e dal settarismo tracotante, da apparire scemi a qualunque normale osservatore esterno. Che all'atto pratico, visto che tra gli osservatori esterni rientra il 90% dei nostri elettori, è più o meno la stessa cosa.

Quando abbiamo fondato questo Partito, ci siamo mossi da un'oggettiva crisi delle forme politiche tradizionali. L'idea di fondo era di costruire una comunità dentro la quale si potesse stare con gradi diversi di coinvolgimento: ti iscrivi per entrare negli organismi dirigenti e dare una mano, voti ed eleggi gli organismi dirigenti (tutti) da semplice elettore.
Quel Partito ha raggiunto il massimo del consenso elettorale, in un momento difficile per il centro-sinistra: otto punti in più di quelli presi oggi, quando il "giaguaro" sembrava già mezzo smacchiato di suo. Quel Partito ha saputo coinvolgere pezzi di società che non si erano mai occupati di politica, ha superato di slancio la discussione sulla "fusione a freddo" tra Ds e Margherita, grazie a forze nuove - spesso giovani - che entrarono in quei mesi. Dalle mie parti, il primo coordinamento cittadino del Pd fu eletto coi voti di un migliaio abbondante di cittadini. E si fecero anche parecchie tessere, molte in più di quelle che ci sono oggi.

Purtroppo, mentre quel Partito provava a costruirsi con questi caratteri di innovazione, era in moto un lavoro contrario che puntava alla restaurazione. I signori delle tessere e della burocrazia - quelli che controllano le ricche fondazioni proprietarie degli immobili ex Ds e i generosi "rimborsi elettorali" - hanno impiegato questi anni per costruire una forma-partito chiusa, autoreferenziale, non contendibile: una forma partito funzionale - solo - al mantenimento del loro potere e alla sua trasmissione per canali di cooptazione e nepotismo. Quando vedete o sentite taluni giovani e improbabili dirigenti del Pd, sapete da dove vengono...

Uno non pretende mica tanto, ma quel minimo senso della misura, persino del ridicolo, che imporrebbe la situazione in cui ci siamo cacciati. Qualunque persona di normale intelligenza capisce che abbiamo perso le elezioni perché ci siamo chiusi, anziché aprirci, perché siamo apparsi "vecchi" e "uguali agli altri", perché mentre proponevamo un "Governo del cambiamento" pochi ci hanno considerati autentici interpreti di qualche vero cambiamento. Abbiamo perso perché ha perso - per l'ennesima volta - la linea della chiusura, di un partito che per essere "forte" diventa più debole, di una burocrazia politica senza arte né parte, intesa solo a conservarsi contro ogni novità.

Ora spiegheranno che - comunque - siamo al Governo. E dobbiamo occuparci dei problemi del Paese, non di questioni organizzative che interessano solo gli iscritti - in effetti, pochini... - e qualche commentatore. Non è vero e sarebbe anche venuto il momento di smetterla con la "responsabilità" usata come un manganello. Il Governo deve fare alcune cose, il Pd deve sostenerlo perché si facciano, anziché porre distinguo. Perché va bene discutere e mettere paletti sull'abolizione dell'Imu, ma se ci opponessimo - per dire - all'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti o delle province, al dimezzamento dei parlamentari, alla chiusura del Senato, faremmo un definitivo pessimo servizio all'Italia e a noi stessi.

Poi, mentre sostiene il Governo, questo Partito deve pensare a sé stesso, a come rifondarsi per avere un ruolo decisivo nella politica italiana. Lo deve fare liberamente e con una discussione vera. Con regole democratiche e rispettando i propri fondamenti ontologici. Un Partito Democratico come quello che immaginano i signori delle tessere e della burocrazia, andrà incontro ad altre sconfitte e sarà un problema, invece che una risorsa, per l'Italia. Come si faccia a non capirlo, dopo tutte le sconfitte già subite, è materia per gli psichiatri più che per i politologi.

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