mercoledì 30 novembre 2011

Signori e usurai

Nei secoli passati, nelle società più arretrate d’Europa, capitava che esistessero villaggi vessati da signori locali, rapaci e corrotti. Le popolazioni rurali e dei piccoli centri urbani erano schiacciate da una tassazione pesantissima e senza contropartite. Questo accadeva perché il signore locale utilizzava i denari ottenuti spremendo i propri governati per fare piccole guerre, accrescere il proprio potere, estendere i privilegi e il benessere della propria corte, favorire i suoi clienti e tutti quelli che rientravano nelle sue grazie: una gestione del proprio ruolo pubblico in chiave personale, famigliare, di casta.
Spesso i soldi prelevati presso la popolazione non erano sufficienti a sostenere i livelli di spesa del signore. Che era dunque indotto a indebitarsi, sulla promessa di ripagare i propri creditori con gli introiti di nuove tasse o con l’arricchimento conseguente a nuove – costose – guerre di vicinato. Anche il popolo, già misero di suo e impoverito dall’iniquo prelievo fiscale, era spesso indotto a indebitarsi presso i prestatori di denaro. Specie quando un raccolto andato male o un’altra calamità – collettiva o famigliare – ne metteva a rischio la stessa sopravvivenza.
Quando il meccanismo di accumulazione del debito agiva per troppo tempo, senza inversioni di tendenza, prima o poi si giungeva ad una situazione insostenibile, sia per i poveri popolani indebitati, sia per le casse più o meno pubbliche del signore locale. Molto spesso, la situazione veniva affrontata con una forma molto singolare di “default”: il signore chiamava un bravo ed entusiasta predicatore, che si dedicava per qualche tempo a denunciare i guai dell’usura e le malefatte degli usurai. La predicazione risultava spesso in atti di violenza, concludendosi con la cacciata dei prestatori – e dei loro crediti – dalla regione, ad opera del popolo inferocito. Il fatto che i prestatori appartenessero, per la maggior parte, a una diversa religione facilitava il compito dell’incendiario di turno. E gli forniva motivazioni aggiuntive per convincere una popolazione ignorante e dominata dalle superstizioni.
Ho pensato che non siamo contadini medievali, ma cittadini moderni dell’Europa nel ventunesimo secolo. Per questo sono sicuro che, se un politico italiano che porti la responsabilità dei livelli di tassazione attuale e del debito pubblico, che frenano l’economia e ci tirano addosso il rischio di fallire, che abbia avuto qualche ruolo di governo negli ultimi anni, ci proponesse una pietra da tirare contro una banca o contro il “Governo delle banche”, gliela daremmo piuttosto sulla testa (ovviamente, in senso figurato...). Questo vale per tutti, ma soprattutto per quelli che sono passati da difendere il “bunga bunga” a denunciare complotti internazionali contro l’Italia. Se hai un debito, hai poco da prendertela col tuo creditore. Anche se è globale (una volta si diceva “cosmopolita”) e ricco (una volta si chiamava “plutocratico”): il problema è tuo, non dell’altrui cattiveria o ingordigia.
Sarà che son sensibile, ma quando vedo certo nazionalismo da straccioni che va a braccetto col populismo più becero, sento sempre puzza di bruciato. E aggiungo che se per caso qualcuno ritiene il dare contro “le banche”, “la finanza internazionale”, "la globalizzazione" e “i nemici dell’Italia” una battaglia in qualche modo di sinistra, non ha capito niente.

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