Dunque, oggi Massimo D’Alema è tornato a disegnare strategie dalle pagine del Corriere della Sera: una pagina intera dedicata alla molta tattica e – come di consueto – a ben poca strategia. Zero, ҁa va sans dire, gli accenti autocritici.
Ho letto sino alla fine, mi sono sforzato di non arrabbiarmi e sono rimasto con una domanda: a cosa serve? Anche a volergli dare la parola per forza, il D’Alema pensiero si poteva riassumere in quattro righe:
1. Un grillino alla Presidenza della Camera
2. Silvio Berlusconi alla Presidenza del Senato
3. Pierluigi Bersani o meglio Giuliano Amato a Palazzo Chigi
4. Massimo D’Alema al Quirinale
Dove le prime tre righe, parzialmente modificabili, fanno da contorno all’ultima: la più importante, decisiva s’intende per le sorti dell’Italia e della democrazia.
Ora, sarebbe troppo facile ironizzare o polemizzare su D’Alema. Persino ingeneroso sarebbe, nei confronti di un personaggio che – in un lontano passato – è stato piuttosto importante nella politica italiana... "sembra immortale, ma è come noi".

Pensando a D'Alema e al triste conformismo fuori tempo massimo dell'informazione italiana, viene in mente la battuta di Aldo Fabrizi a uno spettatore che lo fischiava in continuazione dal loggione di un teatro: “Ma io nun me la pjo con te, me la pjo con quello di fianco che nun te butta de sotto”.
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